Giuseppe Delle Vergini
San Marco in Lamis, domenica 3 marzo 2019 - Ecco la 11° puntata di un racconto lungo - o romanzo breve - scritto da Giuseppe Delle Vergini anni fa. Lo stesso racconto è stato ispirato da un fatto di cronaca nell'infinita tensione che esiste tra israeliani e palestinesi e ha sullo sfondo la Shoah. E' la ricerca di un dialogo che vede la differenza di età dei protagonisti, la loro sofferenza e la passione per il bello e il buono, come può essere la musica, come elementi positivi per costruire la pace.
XXI
Quando Rachel aprì la porta Ilda si trovò davanti il volto sorridente dell’amica. Le due donne non si incontravano un po’ di tempo per tanti piccoli motivi che avevano reso impossibile il vedersi, non ultimo il clima di paura che opprimeva la città a causa degli attentati.
- Benvenuta Ilda! - disse la padrona di casa facendo entrare l’amica.
- Ben ritrovata! - le rispose lei.
- E’ da troppo tempo che non ci vediamo.
- Davvero troppo…- le fece eco Ilda - E’ un lusso che non dovremmo permetterci, noi che abbiamo superato gli “anta” e che non siamo più così giovani…”
- Hai ragione. Ma il tempo sembra volare e sfuggire di mano. Ripromettiamoci di rimediare.
Rachel fece un pausa. Poi continuò.
- Allora, come stai? Ma intanto accomodiamoci nella sala così da raccontaci tutto quanto abbiamo nel cuore, con calma e in comodità.
Ilda acconsentì. Si tolse la giacca, poggiò su un divano la borsa e andò a sedersi in poltrona, quella di broccato rosso con le fasce dorate, posta davanti al camino. Era la sua preferita
Rachel aveva qualche anno in più di Ilda ma portava bene la sua età e la folta massa di capelli bianchi le conferiva saggezza. Aveva insegnato storia della politica all’università ed ora godeva dell’essere nonna pur se vedova da molto tempo. Le due amiche cominciarono ad aggiornarsi sulle ultime vicende e sugli avvenimenti comuni, sulle nascite e sulle morti di amici e conoscenti, sull’Italia e sulla Polonia - Rachel proveniva da quella terra e anche lei era sopravvissuta alla prigionia di un lager nazista – sulla situazione politica che non prometteva niente di buono.
- Allora Ilda, mi accennavi al telefono di questo tuo nuovo e particolare allievo. Dimmi…
La donna raccontò di Omar, di come l’aveva conosciuto e di come erano incominciate le lezioni di musica. Della dolcezza ma soprattutto della bravura di quel ragazzo. Di quando l’aveva visto mendicare in una strada del centro, della rabbia che lo aveva invaso davanti alla distruzione della casa dei vicini. Del tentativo di farlo entrare nella scuola di musica di un suo allievo, dell’indifferenza, se non addirittura ostilità, di alcune sue amiche quando avevano saputo che era palestinese. Infine della visita della polizia e del consiglio di fare attenzione, “molta attenzione” come aveva sottolineato il tenente della sicurezza. Rachel aveva ascoltato Ilda senza mai interromperla, se non per versarle del the. Ilda aveva parlato con calma, accalorandosi appena quando aveva riferito del voltafaccia delle amiche.
- Non ti nascondo che ti sei cacciata in un bel pasticcio! - esordì Rachel - Intendiamoci. La tua azione è lodevole e conoscendoti so che sarà anche del tutto disinteressata. Quello che ti ha fatto agire e che ha permesso una sintonia tra te e Omar è stato ed è l’amore per la musica. Di questo ne sono assolutamente certa. Purtroppo i tempi come ben sappiamo non sono dei migliori. Anzi. Se continua così, e il muro non è certo un elemento di aiuto a stemperare la tensione esistente, qui ci scappa una nuova guerra. Se di guerra non si debba già parlare visto il numero di morti dall’una e dall’altra parte. Perciò chiunque aiuta un palestinese rischia di essere accusato di antipatriottismo o addirittura di collaborazionismo. Sai bene che noi siamo un popolo contraddittorio, alla ricerca perenne della pace ma costretto, Dio solo sa perché, ad essere sempre in guerra. Questa credo, ma potrei sbagliarmi Ilda, è la tua guerra personale… a favore della pace! E’ innegabile dirlo ma se tu aiuti quel ragazzo ad entrare in una scuola di musica, magari proprio in quella mista arabo-israeliana, darai il tuo contributo seppure piccolo, alla pace. Così facendo quel ragazzo, forse per la prima volta nella sua vita, capirà che Israele non è solo un esercito o un carro armato che distrugge una casa, ma anche un popolo fatto di persone che aiutano altre persone a realizzare i loro sogni di pace. Per me tu devi andare avanti, costi quel che costi. Io sono dalla tua parte. E lascia perdere le amiche. Certo, alcune hanno le loro buone ragioni e non sono condannabili per questo. Ma le buone ragioni immediate non possono far dimenticare che esiste un futuro che tutti ci auguriamo migliore né devono offuscare la speranza!
Rachel aveva parlato anche lei senza interrompersi seppure con la sua voce pacata e dal tono basso. Aveva detto quelle parole con convinzione, senza giudicare. Le due donne restarono in silenzio. Ognuna, sorseggiando la sua tazza di the, guardava lontano. Fu Ilda a parlare per prima.
- Ti ringrazio Rachel. Non perché tu mi abbia dato ragione. Noi che abbiamo vissuto quello che nessuno immaginava sappiamo bene che l’aver ragione può non essere una cosa buona. Anche loro credevano di avere ragione a fare quello che ci hanno fatto. Ma avevo bisogno di un confronto sincero e leale. Se tu mi avessi detto di lasciar perdere ti avrei ascoltata ugualmente. Ma le tue parole ora rafforzano la mia volontà di fare tutto quanto mi sarà possibile per dare ad Omar un’opportunità di realizzare il suo sogno. Perché non credo che la vita gliene abbia date molte…
- Lo credo anch’io. Siamo due popoli che stanno soffrendo e che non possono fare a meno di vivere fianco a fianco l’uno con l’altro. Ma vivere in pace pare sia un sogno impossibile. Almeno nel breve periodo. Ci resta la speranza e quella dobbiamo alimentarla in ogni modo. Anche solo con le parole…
Quando Ilda uscì da casa di Rachel era più serena e la giornata le sembrò più luminosa. L’ombra minacciosa del muro pareva essersi allontanata dalla sua storia con Omar.
XXII
C’era finalmente riuscita! Accidenti se ce l’aveva fatta. Ilda aveva insistito nella sua idea ed aveva contattato uno dei responsabili dell’orchestra della pace, quella composta da giovani talenti arabi e ebrei che insieme studiavano e suonavano per opporsi a tutta quella violenza e farsi segno concreto di dialogo e di riconciliazione. C’era arrivata per un giro tortuoso e impensabile di amicizie e conoscenze, di segretarie e uscieri. Aveva così potuto parlare seppure solo telefonicamente con uno dei responsabili della scuola, raccontargli di Omar e fissare un appuntamento per una sua audizione. E questo senza dire chi era. Preferiva restare anonima perché dopo la visita della polizia era meglio usare prudenza. Non si poteva mai sapere. Di certo il suo telefono era sotto controllo perciò le telefonate le aveva fatte da una cabina pubblica. E aveva cercato di capire se qualcuno la seguiva quando usciva di casa. Le era parso di no, ma nel dubbio più di una volta aveva cambiato strada e meta. Ora aveva un nome e un indirizzo al quale bussare. Quando comunicò la notizia a Omar il ragazzo si illuminò cominciò a sperare.
- Davvero potrò suonare in una vera orchestra?
- Si, a patto di superare l’audizione. Perciò d’ora in poi bisognerà studiare ancora di più!
- Va bene, io sono pronto! - rispose Omar - Sai però che passare i controlli è difficile. Vorrà dire che dovrai darmi più compiti per casa! Studierò là…
“Studierai chiedendo l’elemosina ai passanti…” pensò Ilda con un velo di tristezza.
Omar non volle perdere tempo. Saltò perfino l’aranciata e quasi costrinse la donna a iniziare seduta stante la lezione. Nel ragazzo era ritornato l’entusiasmo e l’allegria aveva fugato preoccupazioni e problemi che pure restavano. Ilda lo osservò suonare di nuovo con passione e con il cuore pieno di speranza. Adesso era un altro Omar, diverso da quello che l’aveva insultata perché ebrea e dal ragazzo smarrito per aver visto con i suoi occhi troppa violenza.
“E questo dovrebbe essere il nemico dal quale guardarmi, come suggeriscono le mie amiche e consiglia la polizia? Forse. Niente mi meraviglia più. Ma adesso vedo un povero ragazzo innamorato della musica, contento per avere la possibilità di suonare con altri ragazzi come lui e magari fuggire dall’incubo che ci circonda. Ragazzo mio, ti auguro con tutto il cuore di farcela…”
Ilda pensò queste cose mentre Omar eseguiva con attenzione l’ultimo brano studiato. Era preciso, determinato, più sicuro delle lezioni precedenti. Doveva aver capito che questa volta la passione per la musica davvero poteva coincidere con la vita di tutti i giorni.
“Se riesco ad entrare in quell’orchestra sarò un piatto in meno a casa e potrò sperare di diventare un vero musicista.”
Questo pensava Omar mentre leggeva lo spartito e suonava il flauto. La lezione durò molto. Entrambi erano concentrati perché sapevano che adesso bisognava fare sul serio, evitare ogni errore, ripetere tutti i passaggi incerti fino all’ossessione per essere sicuri di raggiungere un alto livello di preparazione da convincere la commissione giudicatrice. Il responsabile dell’orchestra della pace contattato era stato chiaro:
- Signora l’audizione è per studenti davvero bravi e preparati. La commissione è molto severa sia nel valutare la preparazione musicale e tecnica degli aspiranti ma anche nel capire le motivazioni poste alla base della decisione di voler entrare a far parte dell’orchestra. E’ certa che il suo allievo sia all’altezza?
- Ne sono certa! - aveva risposto Ilda - Anche se non posso garantire che supererà l’audizione. Ma il mio allievo ha davvero talento. Se sarà presente anche lei, vedrà che concorderà con me…
Si era un po’ sbilanciata ma bisognava fare così. Il mondo dei musicisti era una realtà difficile, a volte dura e spietata, anche se in questo caso rivolta a fin di bene.
- Adesso devo proprio andare - disse Omar dopo aver terminato l’ultimo brano - altrimenti chiudono il posto di blocco e per me sono guai. Ci vediamo fra tre giorni.
- Va benissimo Omar. Studia più che puoi e se riesci arriva anche un’ora prima. Io ti aspetto, non predo altri impegni. Vai ora altrimenti farai tardi.
Il ragazzo risistemò velocemente la sua roba infilandola nello zainetto e uscì con altrettanta velocità. Prima di andare via diede un bacio a Ilda. La donna restò sorpresa, gli sorrise e lo esortò a fare attenzione lungo la strada. Richiuse la porta.
- No, quel ragazzo non mi farà mai del male a nessuno. Ci uniscono la musica e la sofferenza. Come ho fatto a dubitare di lui?
Ilda dopo la vista della polizia era stata assalita dai dubbi, pur se aveva mostrato sicurezza perché si fidava del suo istinto. Ora quasi si vergognava di quei suoi pensieri. Si accomodò in poltrona e accese la tv. Era l’ora del telegiornale.
- Speriamo in qualche buona notizia…
“Fermato un ragazzo kamikaze ad un posto di blocco…” Ilda si sentì morire. “Ci risiamo…” pensò. Poi seguì il servizio. Le immagini del ragazzo imbottito di esplosivo avevano già fatto il giro del mondo. Era ancora quasi un bambino, spaventato come ogni bambino cresciuto troppo in fretta e costretto dalla vita o dagli adulti a fare cose più grandi di lui. Le foto mostravano tutta la sequenza degli avvenimenti. Le mani alzate, i mitra puntati, la gente in attesa del peggio. Quel filo di rame che fuoriusciva dal maglione del ragazzo - poteva sembrare un giocattolo nascosto e invece era un annuncio di morte – era la cintura del kamikaze attorno al suo corpo esile. In viso c’era la paura che fa fallire la missione da compiere Poi i soldati che lo rivestono con un loro giubbotto, il sorriso sul volto di tutti e la tensione che si allenta per una storia finita bene. Questa volta.
- Ma dove si vuole arrivare? Dove si vuole arrivare! - disse con rabbia Ilda.
Di nuovo bisognava mettere tutto in discussione, di nuovo bisognava diffidare di tutti, forse anche Omar.
- Così ne usciremo tutti pazzi! - pensò Ilda ad alta voce - Bisogna far presto con l’audizione. Meglio anticiparla.
Continua
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