Giuseppe Delle Vergini
San Marco in Lamis, sabato 2febbraio 2019 - Ecco la 3° puntata di un racconto lungo - o romanzo breve - scritto da Giuseppe Delle Vergini anni fa. Lo stesso racconto è stato ispirato da un fatto di cronaca nell'infinita tensione che esiste tra israeliani e palestinesi e ha sullo sfondo la Shoah. E' la ricerca di un dialogo che vede la differenza di età dei protagonisti, la loro sofferenza e la passione per il bello e il buono, come può essere la musica, come elementi positivi per costruire la pace.
V Capitolo
A volte le capitava di sedersi al pianoforte, incominciare a suonare e poi interrompersi. Restava in silenzio quasi inebetita, fissa ad osservare la sua immagine riflessa e distorta nella vernice nera dello strumento. Il viso non appariva chiaro né lineare perché seguiva le incurvature del legno e la laccatura. I colori venivano alterati dal predominare del nero. In quell’immagine confusa e irreale che rendeva grigio e irriconoscibile il suo volto, Ilda rivedeva fotogrammi del suo passato. Immagini in bianco e nero. Attorno a lei il tempo lentamente cominciava a dilatarsi per rifluire in un’altra dimensione, in un’altra storia. Rivedeva le mani di suo padre scivolare sicure sul pianoforte nella casa di Firenze. Udiva una musica lontana, dolce, riempire l’aria e uscire fuori dalla finestra. E volare in alto. Le sembrava quasi danzasse attorno alla cupola verde della sinagoga e poi ancora più in alto, sopra il campanile di Giotto fin sopra la città intera per arrivare quasi a toccare le nubi. Vedeva una bambina dai capelli lunghi e boccolosi ridere e divertirsi mentre correva attorno al pianoforte che suo padre suonava. La bambina si affacciava alla finestra a guardare un cielo azzurro confuso tra i rami degli alberi della piazza. Quella musica le infondeva serenità, una sensazione di caldo e tenerezza l’avvolgevano, di gioia di vivere. Suo padre continuava a suonare, la bambina a ridere e a correre attorno al pianoforte. Quella bambina era lei. La musica lentamente ma in modo inesorabile da un certo momento in poi della scena diventava meno intonata. Ilda non avrebbe saputo dire con esattezza quando ciò si verificasse, a partire da quale accordo. Le note non sembravano più essere in armonia tra loro. La bambina dapprima rallentava e poi interrompeva il suo correre carico di allegria. Sorpresa guardava suo padre sempre seduto al pianoforte quasi a chiedergli il perché di quelle stonature. La musica però diventava sempre più triste e ora troppo stonata. La bambina si spaventava perché si era accorta che il volto di suo padre stava scomparendo e non riusciva più a riconoscerlo. Eppure lui era lì seduto a suonare quella musica triste, stonata, fino a diventare lugubre. La bambina invocava:
- Babbo! Babbo! Cosa sta succedendo? Dove sei finito? Perché non hai più gli occhi, il naso, le labbra? Il tuo viso dov’è? Cos’è questa musica così brutta?
La figura al pianoforte continuava a pigiare i tasti ma quella che usciva non era più una melodia. Un senso di terrore invadeva la bambina. La sensazione di caldo era scomparsa, cominciò a sentire freddo. Sempre più freddo. Le lacrime rigavano il viso della bambina, silenziose. Ilda avrebbe voluto abbracciarla, accarezzarla, dirle qualcosa. Avrebbe voluto rassicurarla, dirle di non aver paura perché c’era lei. Non poteva succederle niente. D’improvviso qualcuno bussava alla porta, con fare violento. Ilda restava immobile, non poteva far niente. La musica si trasformava in lamento come pure la voce della bambina. Ora non aveva più capelli. La testa era rasata. Dei boccoli nessuna traccia. Era all’aperto, c’erano delle baracche di legno. Sentiva freddo e aveva per abito un cencio maltagliato e lercio. Il viso era ossuto, ferito, irriconoscibile. Ma sapeva che era lei la bambina che correva attorno al pianoforte nella casa di Firenze. Gli occhi, seppure spenti, erano gli stessi. Non c’era più allegria sul suo viso ma era lei. Era proprio lei, Ilda! Altre quattro persone le stavano vicino. Avevano la testa rasata pure loro ma erano più grandi d’età, tutti maschi, probabilmente degli adulti, vestiti con sporche casacche troppo larghe per i loro corpi rinsecchiti. Ognuno aveva uno strumento: un violino, un flauto, un clarinetto, una viola da gamba e una piccola pianola suonata proprio dalla bambina. La musica era ancora più triste, struggente. Il gruppetto dei musicisti suonava senza sorriso, guardando nel vuoto, meccanicamente. Si sentivano delle urla provenire da un posto imprecisato alle spalle della strana orchestrina. Non era possibile capire da dove. Aumentavano la sensazione di freddo e di paura. A tratti degli spari interrompevano la musica e tutt’attorno piombava il silenzio. Ma una voce roca e categorica, in tedesco, urlava di continuare. I musicisti spaventati riprendevano immediatamente a suonare quel lamento, perché si era davvero un lamento, mentre nuove urla e nuovi spari si udivano alle loro spalle. Nessuno riusciva a voltarsi per guardare da dove venissero quelle urla. Era impossibile. Bisognava suonare e faceva troppo freddo. La bambina cominciò a piangere in silenzio. Piangeva e suonava, senza scomporsi, senza voltarsi. Con gli occhi grandi e spenti. Le lacrime cadevano sul vestito sporco ma non lasciavano alcun segno. Alcune finirono anche sulle mani della piccola e fu allora che Ilda avvertì una sensazione di calore sulle proprie. Fu percorsa da un brivido. Senza rendersene conto stava suonando al suo pianoforte la stessa marcia della scena rivissuta. E stava piangendo. Allora si ridestò e scoppiò in singhiozzi. Le immagini svanirono. Con esse quell’incubo. Si coprì il viso mentre i tasti di madreperla dello strumento si bagnarono di pianto. Restò in silenzio qualche minuto poi si alzò, si asciugò le lacrime e aprì la finestra. Il cielo azzurro danzava tra i rami di un albero in giardino. L’aria tiepida penetrò in casa insieme ai rumori della strada e al canto di un uccello. Ilda respirò profondamente e per un attimo restò ad occhi chiusi trattenendo il più possibile il ricordo del colore del cielo.
VI Capitolo
Omar bussò alla porta di Ilda con puntualità. Aveva il respiro grosso e i capelli scompigliati.
- Benvenuto! - gli disse Ilda - Accomodati pure mentre ti prendo un bicchiere di aranciata.
Il ragazzo entrò e la donna lo fece accomodare su una sedia. Ad Ilda piaceva inventare rituali. Per scandire meglio il tempo e sottolineare le occasioni. Ma forse anche perché rassicuravano. Un bicchiere di aranciata prima di incominciare la lezione era quello giusto per mettere a proprio agio ogni giovane studente. Avrebbe funzionato anche con quel ragazzo riccioluto, ne era certa.
- Come stai? Hai studiato?
Omar annuì con un cenno del capo mentre con un sorso svuotò il bicchiere.
- Piano, fai piano! Altrimenti non avrai più fiato per suonare…
Il ragazzo sorrise come a tranquillizzarla, le labbra fresche di aranciata. Lui di fiato ne aveva ancora tanto. Omar non era altissimo. Conservava dei tratti di bambino ma doveva aver visto già troppe cose da adulto. Indossava dei jeans impolverati e una felpa verde con delle macchie qua e là. Lo sguardo del ragazzo era vivo, attento, gli occhi neri. Osservava ogni cosa senza palare. Forse era timidezza, forse prudenza. Ma sembrava interessato a tutto. Tra le sopracciglia, nere pure quelle, aveva una piccola cicatrice. Te ne accorgevi solo se guardavi bene.
-Allora, Omar – chiese Ilda – sei pronto per la lezione?
Annuì daccapo con la testa. Senza dire una parola.
- Bene, andiamo in salotto.
Ilda tirò fuori da un armadio un leggio in metallo e lo regolò all’altezza giusta per il ragazzo. Omar nel frattempo aveva aperto lo zainetto, liberato il flauto dal panno rosso, lo aveva montato e provato. Sistemò sul leggio lo spartito che Ilda gli aveva dato tre giorni prima e inumidite le labbra senza tentennamenti incominciò a suonare. La musica si diffuse nella stanza. Riempì ogni angolo coprendo ogni cosa, suono o rumore. Ilda lo ascoltava e osservava seria, quasi fosse il componente della giuria di un concorso. Omar, concentrato sulle note, muoveva il suo corpo con la naturalezza di un artista. Con armonia.
- Ha davvero buone possibilità di diventare bravo questo Omar! - pensò tra sé Ilda - E’ come se il flauto gli appartenesse, quasi fosse una estensione del suo corpo. Sembra siano stati fatti l’uno per l’altro. E’ davvero questa la sua strada…
Durante l’esecuzione Ilda restò impassibile, senza tradire alcuna emozione. Omar eseguì il pezzo non staccando mai gli occhi dallo spartito, come estraniato dal mondo e indifferente alla stanza e a quanto gli era attorno. Terminato il brano, per un momento continuò fissare le note, senza rivolgersi a Ilda. La donna lo osservava silenziosa.
Poi disse:
- Bene, sei stato bravo! Hai suonato quasi senza fare errori. Ripeterai ancora per una volta questo brano.
E sorrise.
Omar restò sorpreso da quelle parole e tradì un moto di disappunto.
- Perché devo ripeterlo? - sbottò alla fine.
- Perché vedi questa battuta? - fece Ilda indicando delle note a metà del secondo foglio. Il ragazzo le guardò.
- Queste vanno suonate così!
Si sedette al pianoforte ed eseguì quel passaggio musicale. Si voltò a guardarlo fisso negli occhi.
- Tu invece hai suonato in quest’altro modo…
E ripeté le note con un timbro ed una intensità differenti.
- Capito? Comunque mi sei piaciuto abbastanza… - continuò per rassicurarlo - ma bisogna perfezionarsi: la musica è un’arte faticosa. Per non farti perdere tempo oltre a riprovare questo brano, incomincerai anche a studiare quest’altro…
E aperta una cartella appoggiata sul pianoforte gli consegnò un nuovo spartito. Omar prese i fogli con su le note. Li guardò attentamente, forse provando in silenzio qualche battuta. Poi si rivolse a Ilda e mosse il capo il segno di approvazione.
- Bene, allora caro Omar ci rivediamo lunedì. Così avrai più tempo per studiare e per riprovare meglio il brano di oggi.
Guardò il ragazzo con un sorriso. Omar allora sorrise pure lui, sempre in silenzio. Incominciò a sistemare il flauto e gli spartiti nello zainetto. Ilda percepiva il conflitto che il ragazzo doveva avere dentro. Era simile al suo anche se da un punto di vista opposto. Ebrei e palestinesi non si amavano. Non avevano imparato a farlo in oltre cinquant’anni di vicinanza e l’esperienza li aveva resi sempre più diffidenti l’uno verso l’altro. Nemici, era la parola esatta. L’odio appesantiva l’aria fin quasi ad ammorbarla. Ovunque prevalevano la paura, l’incertezza, la sfiducia. La morte poi era sempre presente, in agguato nelle strade delle città o nei campi profughi. Viaggiava in compagnia del ragazzo imbottito di tritolo alla fermata dell’autobus o al fianco del pilota del caccia carico di missili pronti a colpire. Questa era la realtà e questo Ilda vedeva negli occhi di Omar, così come le stesse inquietudini sentiva nel suo animo. In quella stanza li univa solo la musica. Sarebbe bastata? Ilda, in cuor suo, si augurò di si.
Continua
Link delle Puntate Precedenti:
1° Puntata (Il Muro) Pubblicata Sabato 26 Gennaio 2019
2° Puntata (Il Muro) Pubblicata Giovedì 31 Gennaio 2019