Giuseppe Delle Vergini
San Marco in Lamis, sabato 16 febbraio 2019 - Ecco la 7° puntata di un racconto lungo - o romanzo breve - scritto da Giuseppe Delle Vergini anni fa. Lo stesso racconto è stato ispirato da un fatto di cronaca nell'infinita tensione che esiste tra israeliani e palestinesi e ha sullo sfondo la Shoah. E' la ricerca di un dialogo che vede la differenza di età dei protagonisti, la loro sofferenza e la passione per il bello e il buono, come può essere la musica, come elementi positivi per costruire la pace.
XIII
Ogni mattina, da quando era morto il fratello maggiore, toccava ad Omar andare alla fonte a prendere l’acqua. I rubinetti in casa erano a secco da più di un anno, da quando l’acquedotto aveva subito danni per un attacco aereo degli israeliani. Omar doveva alzarsi presto, camminare per un chilometro e stare in fila un bel po’ tra il chiacchiericcio delle donne o l’arroganza dei ragazzi più grandi che spesso non rispettavano i turni. Aveva due taniche che trasportava su una vecchia carriola. Purtroppo la fontana era pigra nel dispensare l’acqua e così l’attesa diventava ogni volta più lunga. A volte era poi impossibile colmare i recipienti perché l’erogazione dell’acqua si interrompeva. C’erano infatti molte perdite lungo il percorso anche perché qualche furbo o prepotente invece di utilizzare la fontana e fare la fila come gli altri, tagliava i tubi a monte per riempire senza fatica i suoi bidoni. Le notizie che Omar raccoglieva stando in fila diventavano importanti. Le donne e gli altri ragazzi erano sempre ben informati su quanto accaduto nella notte e su quello che sarebbe potuto accadere durante il giorno. Ad Omar questo serviva per capire bene se poteva andare o meno in città e quale era il posto di blocco più tranquillo da attraversare. Alcuni dei ragazzi che incontrava mentre si recava alla fontana erano suoi amici. Li salutava volentieri e scherzava con loro. C’era però anche chi non gli piaceva affatto. E capitava di incontrare anche loro. Erano quelli i più prepotenti. Lo insultavano perché non partecipava all’intifada e perché a loro dire non aveva il coraggio di tirare pietre contro i soldati israeliani.
- Ecco il piccolo coniglio! - lo appellavano - Arriva il musicista senza coraggio. Come credi di combattere i carri armati, con il tuo flauto?- e dopo aver mimato gesti osceni scoppiavano in una risata irritante.
- O forse sei diventato un loro amico? Vai sempre in città… - Allora Omar, per non litigare, li allontanava bruscamente oppure cambiava strada. Una volta però con un certo Muhammad, un piccolo capetto, era arrivato alle mani. E non gli era andata molto bene perché lui aveva chiamato i rinforzi e Omar si era trovato a fare a pugni da solo contro tre. Solo l’intervento delle donne in fila alla fontana aveva evitato il peggio.
- Lasciatelo stare, disgraziati! Lui deve pensare alla sua famiglia e poi la guerra bisogna farla agli israeliani, non tra di noi! - così avevano detto le donne prendendone le difese.
Eppure un giorno anche Omar era andato con un gruppo di ragazzi a lanciare pietre contro i blindati israeliani in perlustrazione nel suo villaggio alla ricerca di combattenti, forse nascosti proprio lì. Aveva tirato qualche pietra, eccitato dalle grida e dalla confusione creata dai più grandi. Alcuni avevano il volto coperto e brandivano kalashnikov. Ma lui addosso aveva il terrore e quando da dietro ad un angolo improvvisamente sbucò un carro armato con il suo rombo assordante, la paura lo vinse e l’unica cosa che riuscì a fare fu scappare il più lontano possibile, mentre alcuni ragazzi gli urlavano:
- Dove vai, vigliacco?
Tornò a casa in lacrime ancora tutto tremante e quando raccontò l’accaduto a sua madre ci fu un grande silenzio. Poi lei disse:
- Noi abbiamo già dato il nostro contributo alla lotta. Non c’è bisogno di versare altro sangue. Quindi da ora in poi sta alla larga dalle battaglie e cerca invece di studiare di più.
Non aveva aggiunto altro, continuando a cucinare quel poco che aveva potuto comprare al mercato. Omar era rimasto in silenzio con le lacrime ancora negli occhi. Perché doveva sentirsi dire che era un coniglio? Ma soprattutto perché non si poteva vivere in pace? Non gli interessava tirare pietre contro nessuno ma non voleva passare nemmeno per un vigliacco. Però la guerra non era per lui. Aveva paura! La foto del fratello morto stava appesa nella stanza, con un piccolo nastro verde attorno. Omar la guardò. Gli si strinse il cuore ricordandolo perché suo fratello era stato soprattutto un compagno di giochi. Se invece della guerra e dell’intifada ci fosse stata la pace a quest’ora avrebbe potuto continuare a giocare con lui. Sua madre gli passò accanto e gli fece una carezza tra i capelli.
- Dai, vai a studiare musica. E ricordati che domani oltre all’acqua bisogna comperare il sapone.
- Si, mamma, me ne ricorderò…
La pace era fatta. Omar si asciugò le ultime lacrime sul viso e preso il suo zainetto uscì per andare in città da Ilda per la lezione. Quando arrivò al posto di blocco si accorse che il muro era diventato più alto e la sua ombra sul terreno appariva sempre più minacciosa e sinistra.
XIV
Quel pomeriggio Omar era scuro in volto. Ilda non riuscì a rasserenarlo con l’aranciata e né servì a molto il prolungare la conversazione in italiano. Cominciarono la lezione di flauto ma Ilda dopo poche note si accorse dell’assenza di Omar. Era come distratto, preoccupato da qualcosa che alla donna sfuggiva. Suonava con tristezza. I suoi occhi seguivano lo spartito ma la mente doveva essere altrove, in un luogo non molto piacevole. Comunque la lezione andò avanti. Ilda, silenziosa come sempre quando assumeva il ruolo dell’insegnante, cercò di capire il motivo di quello stato d’animo, senza però riuscire ad individuarlo. Quando Omar ebbe riposto il suo flauto nel panno rosso, accarezzandogli i capelli riccioluti, gli chiese con dolcezza:
- Cosa c’è, Omar? Qualcosa non va?
- No, va tutto bene… - rispose il ragazzo.
Ma non poteva essere vero perché i suoi occhi scuri cominciarono a diventare più grandi e a inumidirsi di lacrime.
- Vuoi raccontarmi come è andata la giornata oggi a casa? - insisté Ilda cercando di non essere invadente. Omar continuava a guardare la tazza del the ormai vuota e giocherellando con il dito a inseguire l’orlo della ceramica. Tratteneva a stento la tensione e i grandi sospiri che lo rendevano ancora più giovane, quasi un bambino. Ilda ripassò le sue dita tra i capelli scuri del ragazzo e provò a fare di nuovo una domanda:
- La mamma e i tuoi fratelli stanno bene?
Omar continuava nel suo gioco silenzioso, Ilda a carezzargli la testa.
“Chissà cosa dev’essere successo…” pensò.
Ad un tratto il ragazzo scoppiò in lacrime e nascose il volto tra le mani. Ilda, pur preparata, fu presa alla sprovvista ma d’istinto lo abbracciò.
- Ehi! Cosa c’è? Stai tranquillo che qui va tutto bene…
Quando si fu calmato, lei gli prese la testa fra le mani, gli asciugò le lacrime con il tovagliolo della merenda e gli disse:
- Dai, adesso ti calmi e mi racconti tutto. Va bene?
Il ragazzo annuì.
- Ho paura, Ilda. Tu non immagini quanto è brutto vivere nel mio quartiere. Hai sempre paura. Da un momento all’altro possono arrivare i carri armati e distruggerti la casa o deportarti la famiglia. Quando sei per strada rischi sempre di finire ammazzato dai proiettili di una sparatoria. Cerco di fare attenzione ogni volta che esco ma non basta per essere tranquilli. Ho paura. Ogni giorno sai di poter morire senza preavviso. Ho visto troppi amici uccisi dalle armi dei soldati. Per venire in città ogni volta i soldati mi perquisiscono e io tremo. E mi fanno aspettare ore prima di passare il posto di blocco. Una volta mi hanno spogliato tutto con fucili puntati addosso perché credevano che il flauto fosse un mitra! Io non ho fatto niente, dicevo tra le lacrime, è solo un flauto! Loro invece continuavano a ordinarmi di tacere se non volevo fare una brutta fine. I ragazzi del mio quartiere poi vogliono che anch’io tiri le pietre ai soldati. Però non voglio farlo. Io non voglio tirare pietre a nessuno anche se loro vengono a distruggere le case e a portare via la gente! Così i miei amici hanno iniziato a dire che io non ho coraggio, che ho paura degli israeliani, che sono ancora un bambino e che non valgo niente! Per loro sei un uomo solo se uccidi un soldato. Cosa ho fatto di male? Io voglio solo imparare a suonare! Perché c’è questa guerra? Perché i soldati non se ne tornano a casa? Perché bisogna vivere con la paura addosso? Perché ogni giorno ci sono dei morti ammazzati dai militari? - e di nuovo scoppiò in lacrime.
Ilda lo abbracciò forte, non sapeva cosa dire.
- Tu non lo sai ma un anno fa i militari hanno ucciso mio fratello. La sua unica colpa è stata quella di trovarsi in mezzo a un lancio di pietre contro i soldati. Stava andando a lavorare. Per sfamare tutti noi. Non aveva fatto niente. E invece l’hanno ammazzato. Non è giusto! Non è giusto, davvero!. Non è facile dimenticare… - Omar smise di parlare. I suoi occhi vedevano lontano. Era tutto agitato. Ma non piangeva più. Ilda cercò le parole adatte per tranquillizzare il ragazzo. Non era semplice. Lei era ebrea, quindi stava dall’altra parte. Aveva di fronte il dolore di Omar e non poteva confortarlo.
- Non sono tempi facili per nessuno - disse infine - E la cattiveria sembra essere più forte del bene. Non so quando finirà questa guerra, perché è una guerra. Si, è proprio una guerra tra fratelli. Muore troppa gente a casa tua e a casa mia. E la soluzione è lontana, impossibile da raggiungere. Tu sei grande, sai che ebrei e palestinesi non si amano. E’ una storia terribile quella che mi hai detto e come pure il modo in cui è morto tuo fratello. Non si può giustificare. Come non si può nemmeno giustificare, e tu lo sai, che alcuni palestinesi si facciano saltare in aria da kamikaze sugli autobus uccidendo innocenti. Innocenti come tuo fratello…
Strinse forte a sé il ragazzo e aggiunse:
- Omar, bisogna lottare per la pace, non per la guerra…
- Ma io voglio soltanto imparare a suonare il flauto e andarmene via da questo paese con troppi morti e pieno di cimiteri. Voglio non avere più paura. Capisci? Da quel giorno detesto i soldati, non voglio più vederli perché hanno ucciso mio fratello, e ogni volta che li incontro vorrei morire anch’io…
- I soldati fanno il loro lavoro. E non è un bel lavoro… muoiono anche loro… - disse a bassa voce Ilda mentre a Omar rispuntava una lacrima.
- Piccolo amico mio, questo mondo non è un bel mondo. Ma bisogna starci e cercare di fare il possibile per migliorarlo. Io e te possiamo solo suonare per provare ad addolcire il cuore degli uomini. Oggi non so dirti altro…
Ilda smise di parlare. Era molto triste. Nella mente le riapparvero frammenti di passato quando era stata lei, bambina, ad aver paura dei soldati. Omar raccolse il suo flauto e i suoi spartiti in silenzio, li rimise nello zainetto e si avviò verso la porta.
- Omar… - lo chiamò Ilda e il ragazzo si fermò - Può succedere di tutto, possono accadere cose ancora più brutte e la paura può trasformarsi in terrore. Ma tu devi far prevalere sempre la speranza. E la musica è piena di speranza!
Omar la guardò. Ilda lo accompagnò all’uscio.
- Fai attenzione nel tornare a casa. Ti aspetto come sempre fra tre giorni…
Il ragazzo annuì con il capo.
Link delle Puntate Precedenti:
1° Puntata (Il Muro) Pubblicata Sabato 26 Gennaio 2019
2° Puntata (Il Muro) Pubblicata Giovedì 31 Gennaio 2019
3° Puntata (Il Muro) Pubblicata Sabato 2 Febbraio 2019
4° Puntata (Il Muro) Pubblicata Giovedì 7 Febbraio 2019
5° Puntata (Il Muro) Pubblicata Sabato 9 Febbraio 2019
6° Puntata (Il Muro) Pubblicata Mercoledì 13 Febbraio 2019