Luigi Ciavarella

San Marco in Lamis, sabato 1 luglio 2023 -  Il ricordo che conservo di Giuseppe Scola è insieme tenero e nostalgico, ma sopratutto è avvolto da un alone da leggenda che mi impedisce di parlarne in maniera distaccata, obiettiva, poiché il mio rapporto con lui (e con sua moglie Elisabetta Cristalli) è stato intenso, familiare, cominciato nel 1954 in un vicoletto che si affaccia su via Carducci, che collega i due corsi del paese, proprio di fronte alla chiesa del Trionfo del Purgatorio: vico sant'Agostino.

Abitavamo l'uno di fronte all'altro in quel vicoletto molto popoloso e spesso mia madre mi affidava alla loro custodia quando non poteva portarmi con sé. Stare con lui allora diventava una festa per me perché in quella abitazione Giuseppe Scola per tenermi buono tirava fuori il violino e improvvisava strani suoni come per esempio l'imitazione del pianto del neonato accompagnando con la sua voce sottile la performance; oppure il lamento di una madre o il verso di qualche animale, e quando ciò non bastava, quando ero diventato nel frattempo più grandicello, si improvvisava prestigiatore con le carte o con le monete che le faceva sortire dai posti più impensabili lasciandomi sbalordito. Insomma era uno spasso stare in quella casa insieme a loro, non ci si annoiava mai. 

Giuseppe era una persona amabile, scherzava sempre con tutti, era difficile capire quando beffava o quando parlava sul serio, il confine era labile, e non era difficile cascarci tutte le volte che lui apriva bocca con quel suo sorriso a volte sornione altre volte divertito, spesso ironico, con quella lingua sempre pronta alla battuta. Mi amavano forse perché la coppia non aveva avuto figli oppure perché il legame d'affetto e di fiducia che si era venuto a creare tra noi era diventato una sorta di parentela stretta a tal punto che quando all'età di sei anni (credo, più o meno) abbiamo dovuto lasciare quella residenza per trasferirci in via Custoza sembrava che dovessimo emigrare in Australia, come d'altronde succedeva spesso in quel periodo. Tuttavia dopo quella separazione i rapporti divennero ovviamente meno frequenti. Nonostante mia madre andasse spesso e volentieri a far loro visita ed io quasi tutti i giorni mi inoltravo in quella strada senza uscita sino a raggiungere il numero 18, l'aria era inevitabilmente cambiata, non era più quella familiare di una volta perché gli incontri erano diventati visite di cortesia, cosa ben diversa dai rapporti stretti intrattenuti in passato.

Giuseppe Scola svolse il mestiere di muratore, piccoli lavori artigianali che gli permettevano di vivere dignitosamente. Era un mastro muratore molto apprezzato in paese e quando da adulti, lui e sua moglie, si trasferirono in via Rodi, nella casa che lui stesso aveva contribuito a ristrutturare, ci ritrovammo ancora una volta vicini di casa. Infatti passavo tutte le mattine davanti a casa sua per accompagnare mio figlio all'asilo e non di rado mi fermavo a chicchierare con loro. Anzi spesso mi attendevano davanti l'uscio di casa. Ci eravamo ritrovati come ai vecchi tempi anche se le consuetudini erano cambiate. Eravamo alla fine degli anni settanta ma lui non aveva perso neanche un briciolo della sua vitalità, della sua curiosità e sopratutto aveva conservato quel linguaggio ironico, brioso, divertito, che era stato una caratteristica della sua vita. Quando non stava bene in salute mi chiamava ed io accorrevo somministrandogli i medicinali prescritti, in questi casi andavo a trovarlo più spesso, provavo a rassicurarlo; altre volte lo accompagnavo con l'automobile a San Giovanni Rotondo quando doveva procurarsi il materiale che gli serviva per fare qualche lavoretto in casa oppure capitava di doverlo fare anche in paese perché diceva che le sue gambe non ubbidivano più ai suoi ordini. Insomma mi sembrava quasi di avere la sensazione di restituirgli inconsciamente quella amorevole disponibilità che lui e sua moglie Elisabetta mi avevano dimostrato da piccolo.

 Il suo violino, con cui Giuseppe Scola aveva suonato tante tarantelle, mazurke e ballate paesane (ma che mi aveva anche fatto divertire) dopo la sua morte è andato in eredità ad una sua nipote. Non nascondo che mi piacerebbe tanto poterlo rivedere e toccarlo per assaporare seppure per un attimo tutti quei ricordi indelebili del nostro vissuto, che hanno attraversato un pezzo importante della mia esistenza.

 -  Nelle foto : Giuseppe Scola, Michele fulgaro e Elisabetta Cristalli colti dallo scatto di Giuseppe Michele Gala mentre stanno eseguendo la tarantella di San Marco in Lamis (primi anni 80) presso la sua abitazione in via Rodi.   

 

Luigi Ciavarella