Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, venerdì 6 novembre 2015 - Lui, Carmine, trentenne, Lei, Antonietta, dieci anni in meno, sposi il 23 agosto 1942, si lasciano dopo una settimana, per non rivedersi mai più. L’uomo, soldato artigliere, sfumata la breve licenza di matrimonio, è costretto, infatti, a rientrare nel suo reggimento schierato sul fronte di guerra greco – albanese, dove è impegnato dal 28 ottobre del 1940. Sono le cinque del mattino, quando mamma Rosa (la suocera) che abita al piano inferiore di Via Portagrande n. 43, viene a svegliare la coppia: “Carminù è ora!”.
Lui in un baleno indossa la divisa, abbraccia a più riprese la giovane moglie, poi prende lo zaino e, scendendo le scale a due a due, va via senza girarsi indietro, con un groppo alla gola. Lei impietrita, avverte dentro di sé un vuoto immenso. Una sensazione sgradevole, quest’ultima, che di tanto in tanto farà capolino dentro di sé, facendole soffrire le pene dell’inferno. A lenire il suo dolore non servirà neppure il ricordo del fausto evento appena trascorso, ossia il matrimonio.
Lo stesso era stato celebrato in pompa magna in chiesa, con tanto di corteo fatto di innumerevoli parenti, vicini di casa, amici e compari di San Giovanni fino alla settima generazione, finito poi a tarda ora con la tradizionale festa in casa alternata da musiche, balli, taralli e fiumi di rosolio. Partito il marito, Antonetta si tappa in casa, come è costume per quei tempi, per preservare la sua onorabilità di ventenne bella e fresca, da qualsiasi diceria. Non potendo lenire la sua solitudine con la compagnia della madre Rosa, che risiede costantemente in campagna assieme al padre Francesco, guardiano presso la facoltosa famiglia dei “De Maio”, la divide e condivide quotidianamente con la suocera Rosa Botta, vedova e madre di un figlio morto nella I Guerra Mondiale (Matteo).
Entrambe le donne che si vedono ogni giorno si abbracciano e piangono; piangono e si abbracciano, l’una fortemente addolorata in conseguenza della lontananza e della paura di perdere il compagno della propria vita, l’altra ancor di più, per aver perso già il primo figlio e il rischio di perdere anche il secondo. Il loro dolore è avvertito e compatito dall’intero stradario. Nunzia Lonero, classe 1920, ricorda di aver incontrato più volte “Antonètta”presso la casa della propria suocera Maria Michela Iannacci, dirimpettaia dell’abitazione di lei. Qui si scambiavano le notizie sui rispettivi mariti, impegnati come tanti altri soldati rignanesi sul fronte greco.
“Tengo sempre in mente le sue grida di dolore, quando era ammalata di tifo – ci dice Nunzia – grida che echeggiavano per tutta la strada e ci faceva ghiacciare il sangue nelle vene. Quando, in primavera ella morì – continua la nostra interlocutrice - l’autorità comunale e le guardie non fecero avvicinare nessuno alla bara, neppure i famigliari più stretti e misero i sigilli alla porta”. In seguito, anche la sua roba è bruciata e la stanza disinfettata con calce. “Povera, “Ntunètta”, esclama Nunzia, se n’è andata sola con il suo dolore immenso, e la sua bella gioventù bruciata dal malvagio destino! Quel giorno piangevano anche le pietre, a Rignano, conclude la donna, asciugandosi una lacrima che le scende dal viso rugoso, ma aggraziato. È il 23 aprile 1943, quando l’inconsolabile sposina lascia questa terra. Lui tornerà nell’estate del 1945. Ma di questo e di più se ne parlerà in un’apposita storia di guerra da inserire nella prossima seconda edizione del libro di chi scrive: “Io Parto Non so se Ritorno” , 2014.