Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, venerdì 31 luglio 2015 -- l’Asino Stufato (1 agosto 2015) e la Bufala in pizzaiola (13 agosto 2015, con contorni di latticini). Siamo a Rignano Garganico, centro di poco più di 2000 abitanti in provincia di Foggia, ubicato a 590 metri sul livello del mare su una collinetta a strapiombo sul Tavoliere delle Puglie. La tradizione della carne di Bufalo ha il suo antesignano nel “bos primigenius” di Grotta Paglicci, caposaldo del Paleolitico italiano, di cui si dirà (vedi graffito). La grande tavolata, allestita in un’antica masseria (oggi Agriturismo Fiore), comincerà alle ore 20.00 del 13 agosto 2015, il tutto al modico costo di 15 euro.
Una cifra, quest’ultima, considerata da molti non eccessiva, in quanto si tratta di gustare uno dei prodotti più genuini della zona. Non solo, ma la venuta in zona dei turisti e dei buongustai, avrà una chance in più in programma, quella di poter vedere da vicino (dalla SP 22), la dirimpettaia Grotta Paglicci e visitare nel sovrastante paese l’omonimo Museo, contenente i principali reperti paleolitici scoperti nel sito, considerato uno dei più importanti del mondo, per la messa dei dati finora rilevati (circa quaranta mila).
Di seguito il menù: pizzaiola di bufala; latticini derivati dalla stessa, con anguria, acqua, pane e vino.
Menu diverso per la “Feste de ‘llu ciucce“, la Sagra dell’Asino, che avrà luogo nella stessa masseria il prossimo 1 agosto, a partire dalle ore 20.00.
Il menù si compone: orecchiette al ragù con involtini di carne di asina; formaggi misti; Frutta melone; acqua e vino. Costerà in tutto 15 €.
Negli anni passati c’era la cultura a fare da padrone, con la convocazione-coinvolgimento sull’argomento dei più importanti uomini di cultura della Capitanata. Fino agli anni ’50 a Rignano, paese agricolo per eccellenza, l’asino era l’animale da lavoro e trasporto più diffuso della comunità. Se ne contava almeno uno per famiglia. Si faceva ricorso alla sua forza e alle sue cocciute virtù, sia per spostarsi da un luogo all’altro, seduti sul suo caratteristico basto, sia per arare i campi, sia per trasportare i covoni di frumento nell’aia più vicina e pestati dai suoi zoccoli duri e successivamente fino allo spiazzale antistante alla trebbiatrice dei Pizzichetti, la prima ed unica impiantata presso l’azienda di “Maddalena” nelle vicinanze dell’abitato. Era festa grande, perché dal buon esito della pesatura o della trebbiatura dipendeva la vita di sussistenza di chi possedeva un piccolo appezzamento di terreno in montagna (lu luche), strappato al “nicchiarico”, a colpi di zappa e con l’aiuto dell’asino. Ed erano i più poveri e caparbi della popolazione attiva.
Raramente si faceva ricorso a muli e cavalli, perché erano pochi, costosi ed in gran parte posseduti solo dalle famiglie più agiate. Per di più il rendimento lavorativo di un asino, specie se paragonato alle sue dimensioni, all’alimentazione generalmente scarsa quantitativamente e di poco significato nutritivo, all’allevamento quasi sempre molto trascurato, è da considerare notevole e superiore a quello del cavallo, anche per la maggiore resistenza. A riprodurre o a migliorare la specie in discreta quantità, solitamente provvedevano i pastori, gli allevatori di bovini ed anche nelle estese “mezzane” i grandi agricoltori , che ne facevano commercio direttamente o tramite le fiere. Famosa e frequentata era soprattutto quella di San Matteo che si teneva ogni anno in prossimità della festa del Santo, il 21 Settembre.
A quei tempi in paese asini ed uomini vivevano sotto lo stesso tetto. I più fortunati avevano la stalla intercomunicante o sottostante al monolocale abitativo. Il resto ne ricavava una addirittura sotto il letto. Con l’avvento e la diffusione dell’automobile e dei trattori, le cose cambiarono. Per cui ad un certo punto il ricorso all’asino diventò man mano sempre più raro, sino all’ estinzione pressoché completa dell’animale. Ma non tutti. C’è , invece, chi lo ha sempre amato ed oggi ne alleva circa duecento. Ed è il titolare dell’azienda, Carmine Fiore, a parlarcene. Il tutto, a suo dire, sarebbe partito da una sola “ciuccia” chiamata “Peppinella” attorno agli anni ‘30, ad opera del padre Giovanni e del nonno Carmine. Oggi, il reddito di questo tipo di allevamento, oltre al maneggio, è costituito soprattutto dal latte, per i più svariati usi, specie nella produzione di medicinali e di cosmetici.
L’azienda in parola si trova nella piana della Madonna di Cristo, un luogo strategico, ad un tiro di schioppo non solo dalla citata grotta, ma anche dal Dolmen (risalente a circa 5000 anni fa) e dallo storico ed omonimo Santuario (anno Mille), a 5 km dal sovrastante paese.
Come giungervi è presto detto. Per chi arriva con l’Autostrada A/14, uscire al casello di San Severo e imboccare subito la contigua SS. 272, alias Via Sacra Langobardorum, per San Marco in Lamis – San Giovanni Rotondo, a 5 Km dopo il passaggio ferroviario (San Marco in Lamis Scalo), girare a dx ed immettersi sulla PS Pedegarganica. Dopo ulteriori 5 Km, girarsi a sn e salire per altri 5 Km; all’incrocio seguire l’indicazione Madre di Cristo; a 300 m. sul costone c’è l’agriturismo con un ampio parcheggio per auto.