Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, venerdì 9 settembre 2016 -  Fulmini o vandali? Nessuno ancora riesce a stabilirlo con certezza, anche se la “vox populi” prevalente è quella più diffusa. E questo nonostante le fotografie,  scattate a destra e a manca da ambientalisti e cittadini amanti dei propri simboli. Il riferimento è a “La Croce” in ferro che si erge nell’omonima località, chiamata anche “Capulumonte”, sulla collina ubicata all’estrema periferia Ovest ad un tiro di schioppo dal paese. A segnalare per primo il caso è stato Nicola Carfagna, nelle cui vene il sangue rignanese pulsa e pieno regime.

 Nella di lui comunicazione messa in circolazione su facebook in duplice lingua (messaggio ed immagine, vedi foto) parla chiaramente di vandalismi… E’ sarà forse proprio così, altrimenti questo caro simbolo sarebbe stato distrutto chissà da quanti anni fa.  Il “monumento” presenta diverse e vistose scalfitture e rotture alla base lapidea, mentre la “lama” centrale in ferro si muove, non si sa da quanto tempo, per via del vento e dell’indebolimento della base. Va precisato che la zona è piuttosto frequentata dai giovani, specie durante le vacanze estive, anche perché si può raggiungere facilmente in auto e per di più pista preferita per il decollo dei deltaplani e dei parapendii. Per saperne di più e soprattutto a chi ama poco la lettura sulle proprie origini, ecco di seguito la storia de “La Croce” rignanese redatta  e contenuta nel  volume e-book di chi scrive, Don Leonardo Cella, dal paese al mondo salesiano, Roma, Maritato Group,  2012. << La Croce. La simpatia che effondevano i nuovi venuti era prorompente e prendeva tutti, compresi i comunisti che (nonostante non seguissero le  prediche dei Passionisti) li ammiravano e li rispettavano. Ogni famiglia li voleva in casa come ospiti d’onore, a pranzo o a cena, soprattutto per ricevere consigli. Anche la famiglia Cella rientrava in questo novero.

Veramente da loro i Passionisti si recavano con più frequenza, forse per l’accoglienza e il calore che si avvertiva nella loro casa di campagna prossima al paese. Oltre al primogenito Giuseppe (1887 –1947) perso a causa di un incidente provocato da una errata manovra col camion, ai genitori di Matteo non mancava altro. Avevano il loro orto e un pezzo di terreno seminativo, con alberi da frutta di vario tipo. Allevavano qualche ovino e, soprattutto, decine e decine di pennuti da cortile. Non mancava un alveare per la produzione del miele. Qui c’era il deposito-officina di Matteo ed in un altro locale adiacente operava perfino un piccolo mulino a manovella per la macinatura del quantitativo di grano bastevole per la famiglia e gli amici più stretti. Anche il fratello di Matteo e la sua famiglia, prima della disgrazia, vivevano la loro stagione innovatrice grazie al figlio Arcangelo (classe1923), reduce da servizio militare di lungo corso. Siccome aveva la patente di guida, acquistarono un camion (il primo presente in paese) impiegato per il trasporto di merci per conto terzi, ma soprattutto per conto proprio. Gestivano, infatti, un genere alimentare con annessa macelleria sempre da rifornire di carne ed un modesto cinema che proiettava pellicole noleggiate a Foggia, da Cicolella.

Il mezzo serviva per raggiungere il capoluogo! Il locale per le proiezioni, attivo sin dai primi mesi del 1946, era un capannone con copertura di lamiera ad arco a tutto sesso. Era allocato in piazza San Rocco ed era stato realizzato qualche tempo prima con materiale riveniente da un ex-campo americano in prossimità dell’aeroporto di Amendola. La tragedia patita sembrava offuscata quasi dopo un anno. Superato il lutto, il calore e la simpatia tornarono di nuovo a risplendere nella casa-madre dei Cella, rappresentata da Leonardo e Mariannina, dalla figlia nubile Elisa  che badava a tutti e  a tutto.  Accolsero con grande gioia i Passionisti. Partecipò al pranzo l’intera famiglia, compresi Matteo e i suoi. Nel corso della conversazione, si parlò della Croce di ferro da realizzare sia in segno di devozione al Redentore che per ricordare la venuta dei suoi annunciatori, i Passionisti. Matteo si fa avanti. Ci penserà lui a compiere l’ impresa. Non ritenendosi un vero artista, è sicuro che sarà il Cielo a guidare la sua mano soprattutto grazie alle preghiere di intercessione elevate dal figlio Leonardo, seguace attivo di don Bosco. Il materiale principale c’è già in magazzino: si tratta di due “lame” (spranghe di ferro), lunghe quattro metri, abitualmente utilizzate per sostenere le volte di mattoni. Arriva l’inverno e Matteo, come tutti gli altri, smette di lavorare e torna in paese. Il suo primo pensiero è la Croce. Così si mette subito all’opera, facendosi aiutare dal figlio Vincenzo e da Leonardo quando per brevi vacanze fa ritorno al paese. Per segare a misura le due spranghe (rispettivamente per il palo e per i bracci) vanno via giorni e giorni di lavoro.

Passano altre settimane ancora per fare i buchi utilizzando esclusivamente martello e punteruolo. Fissano le due parti con grossi chiodi di ferro, ma la Croce non è ancora fatta. Bisogna limare ogni parte ed ogni angolo. Arriva Natale e si è ancora a lavoro abbozzato. Mancano le lance e manca soprattutto il ferro adatto all’uopo. Un giorno Matteo si mette in viaggio a cavallo alla ricerca dei due ferri. Raggiunta la pianura, passa in rassegna tutte le masserie da lui frequentate, ma invano. Stanco e disperato, pensa di ritornare a casa. Finalmente in fondo ad uno “staddone” (grande stalla per quadrupedi) scopre in un angolo un vecchio cancello ormai in disuso. Con il permesso del padrone, lo scardina e preleva le due aste che si presentano già provviste di punte a freccia. Passano altri giorni e forse mesi. Si è nel cuore dell’inverno e fa tanto freddo nel magazzino adattato per il momento a laboratorio. Finalmente un giorno s’intravede il sole. L’aria, anche se rigida, non è funestata dalla neve o dalla tempesta. Allora, padre e figlio decidono di ritornare al lavoro. Con la lima mettono a nuovo le due aste, attutiscono le punte e le fissano incrociate al palo e ai bracci della Croce. Ma non è finita! Manca la firma e la data.

Non sanno come farle perché i due Cella non hanno l’esperienza di un fabbro o di un incisore.  Alla fine l’artefice decide di provarci. Dopo aver scelto il campo (parte bassa del corpo) e dopo aver tracciato a stampatello tutti i dati, affila lo scalpello alla “mola” e a colpi di martello riesce piano piano ad incidere sul ferro la prima linea di una lettera. E’ fatta! A primavera, il lavoro è finito. Viene incaricato l’arciprete  per la scelta del luogo e del giorno dell’inaugurazione. Il luogo indicato per la posa è Capelumonte; la data è il 16 novembre, giorno della partenza dei Missionari avvenuta un anno prima. Si prepara, intanto, il piedistallo, con l’aiuto di volenterosi muratori, e la lapide commemorativa. Si issa la Croce. Finalmente arriva il grande giorno della Santa Benedizione e del ringraziamento. Una lunghissima teorìa di persone (in pratica quasi tutta la comunità praticante), dopo aver lasciato la chiesa ed attraversato le vie principali del paese intonando canti e preghiere religiose, raggiunge il posto in breve tempo. A precederla c’è l’arciprete Draisci con gli altri sacerdoti; le massime autorità civili, capeggiate dal sindaco Pasquale Ricci con la fascia tricolore; i vigili urbani ed il Comandante della Stazione dei Carabinieri in grande uniforme. Alla benedizione ed alle preghiere seguono scroscianti applausi uditi  perfino dai battitori e dalle raccoglitrici di olive impegnati lungo il versante meridionale della montagna e alle pendici. Questi ultimi provano in cuor loro un po’ di sconforto per non aver potuto partecipare allo storico evento>>.