di Anna Piano

San Marco in Lamis, lunedì 4 dicembre 2023 -  Trascorsi i primi giorni di dicembre, Matteo con la famiglia si apprestava a preparare il Presepe. Nella valle dello Starale abbiamo una tradizione antica, molto sentita. Fu San Francesco d'Assisi a dare inizio a questa usanza che dura ancora oggi, dal lontano 1233.  Ognie juse,  suse, o nelle case di campagna dove alcune famiglie vivevano la maggior parte dell'anno,  c'era il  posto destinato all'allestimento per il divino omaggio alla festa più bella e sentita dell'anno, quella del Santo Natale.

Ad onor del vero il popolo sammarchese viveva  ogni festa, soprattutto quelle legate alla religiosità cristiana cattolica, con intensità e sentimento.  Il popolo se né appropriava dando ad ognuna una personalità o meglio una propria tipicità, adeguata e rispettosa dei principi canonici del tempo.Avendo quattro figli in tenera età, Matteo non tardava all'appuntamento. Il suo carattere positivo e festoso, legato alla tradizione del paese lo vedeva ben presto all'opera. Impegnati al progetto, collaborava la moglie Giovanna con i quattro figli, soprattutto la maggiore, Lucia. Ella frequentava l'Istituto magistrale di San Giovanni Rotondo.

Pendolare come la maggior parte degli studenti di scuola superiore sammarchese. La mamma provvedeva a prendere tutti gli elementi conservati negli anni precedenti a cominciare dalla base, la fazzatora, la badia. Credo fosse una delle più grandi che una massaia del paese potesse tenere. Da qualche anno Giovanna non ammassava più. Comprava il pane da Sapone, la panetta di due chili, cu lu scecante che sorrideva come il sole di mezzagosto.  Forma tipica del pane paesano. Permetteva di tagliare fette ricche di mollica da condire con i pomodori invernali, tondi rossi e gialli. Conservati insertati. Si finiva di condire con sale fino ed olio. Era la merenda per grandi e bambini. Bastava solo per un giorno. Le famiglie erano numerose.

I pastorelli conservati in un sacchetto di stoffa, appeso alle travi della soffitta. I figli si recavano a piedi  alle coppe di Casarinello, dietro al cimitero per raccogliere il muschio, li lippe. Angelo Nardella[1] andava nella difesa di San Matteo. Antonio Villani[2] sui monti fra Apricena e San Nicandro Garganico.   Ognuno aveva il proprio posto preferito, per lo più nei dintorni al proprio territorio. Si sceglieva quello ricco, alto e carnoso. Di un verde intenso, sembrava un velluto di seta. Si raccoglieva prendendo un po' di terra ad esso attaccato. Ve n'era di diverisi tipi. Ne ricordo con dei filamenti lunghi, dal colore verde dolcemente sgargiante, coperti come da pelliccia morbida, sembrava tessuto per un  abito da sera. Quando si staccava dalla roccia o dalla corteggia,  ai piedi dell'albero esposto al nord, si sollevava un profumo di terra viva, di vita del bosco, d'autunno intenso. Emozioni che il Gargano elargisce a chi ad esso si avvicina con rispetto ed amore.  Si faceva ritorno a casa, convinti di realizzare il Presepe ancor più bello degli altri anni.

Il regista era Matteo. Con la macchina Fiat 1.100, una delle poche del paese,  si recava alla Difesa di San Matteo per trovare e scegliere un ramo di abete. Preferiva uno rotto dal maltempo dell'inverno. Lo metteva dietro il presepe, attaccato al muro, vicino alla finestrella.  Il papà di Angelo sceglieva rami di quercia. Alti belli, ricchi di foglie, con le ghiande attaccate. Essi le disponeva lungo i tre lati del presepe, lasciando scoperto solo quello frontale[3]. Antonio Villani preferiva rami d'olivo frondosi. La madia veniva capovolta e posata sopra due sedie, quelle del soggiorno, di legno in noce, con il fondo dai disegni in rilievo. Il papà  di Angelo smontava una parte della doppia porta di legno che portava alla soffitta. Maria,  invece utilizzava un vecchio e robusto tavolaccio. Pertanto, in tanti realizzavano un  presepe spazioso, importante,  evidente, non nascosto, marginale e misero. Sebbene  impiegavano   materiali già in uso per altri scopi, semplici e poveri.

Sistemato il grosso ramo, alto quanto un alberello, si formavano le montagne. Nei giorni precedenti, nel paese i sacchi del cemento andavano a ruba, come quelli della farina. Erano infatti l'ideale per preparate le montagne. La parte interna, infatti, liscia e pulita, aveva un bel colore simile alla pietra. Tutti conoscevano la tecnica. Si preparava un po' di colore verde e bianco. Vi si schizzava sopra con il pennello. Lo stesso che si usava per biancheggiare la casa in primavera. Un vero capolavoro. Terminata l'asciugatura, si stropicciava grossolanamente per meglio poterla modellare. Per dare l'effetto reale dei monti. L'esempio non era lontano. Bastava guardare dalla finestra. San  Marco  in Lamis, essendo nella valle era circordata dalle coppe, montagne tonde e garbate, come un abbraccio del padre Gargano. Solitamente la grotta veniva  disposta al centro.

 Divenica punto di riferimento per posizionare tutti gli attori o personaggi della sacra rappresentazione. Nella grotta Matteo metteva una lampadina. Era   più grande del Gesù Bambino. Si proseguiva posando  il muschio, li lippe. Si procedeva come per un mosaico. La base veniva interamente coperta, senza lasciare intravedere il legno sottostante.   Un prezioso prato verde, morbido e profumato, soprattutto se insieme al muschio si coglieva, inavvertitamente, qualche ramo di menta, di origano o di maggiorana. Queste spezie che nascono spontanee sui nostri monti hanno un profumo talmente intenso da inebriare chi lo sente. Sebbene ne servisse tanto, non ci mancava il verde muschio. Nei boschi  come sul resto dei monti, nella parte  ombrata delle coppe ne cresceva a sufficienza. Un pezzo di specchietto, ricavato da uno rotto anni prima, fungeva da laghetto. Esso nasceva proprio fra l'erba, nelle vicinanza della cascata che scendeva dalle montagne. Veniva realizzata con la carta argentata. Angelo [4] racconta che non era semplice procurarsela. Allora, negli anni 50-60 non si vendeva come oggi. Pertanto si conservavano le stagnole dei cioccolatini e caramelle. Intorno al laghetto si disponevano in  fila delle breccioline.

Finalmente entravano nel presepe  i pastorelli. Lucia, la figlia maggiore di Matteo e Giovanna, era addetta ad acquistarne uno o due, ogni anno. Andava da Maria Lebrince[5], alla girata di via Cavour. Ormai si era raggiunto un bel numero. Oche ed anatre potevano finalmente nuotare, le une accanto alle altre. Qualcuna rimaneva nei dintorni.  In riva al laghetto o al fiume si posizionava il pescatore. Rappresenta San Pietro, pescatore di anime.  Indossava un pantalone rimboccato alle caviglie, forse per non bagnarsi. Sul capo, un bel cappello che lasciava il viso libero e scoperto. In mano la canna da pesca. Accanto un bel cesto pieno di pesci. Nella grotta,  dimorava  il bue e l'asinello. Il loro respiro scaldava Maria e Giuseppe nell'attesa dell'avvento di Gesù Bambino. Sarà l'unica fonte   di calore, nella gelida grotta, coperta di neve, a scaldare il  Divin Bambinello.

Mi permetto, con modestia di darne un significato. Gesù, alla sua nascita, sceglie la compagnia degli animali, gli stessi che hanno reso all'uomo un aiuto vitale. Sono presenti nella Grotta, vicino alla Sacra Famiglia. Mi viene spontaneo il rimando alla Genesi, nei versetti dove si narra della creazione:  Gen.2,18 “ Non è bene che l'uomo sia solo...”. Dalla terra creò gli animali. All'uomo diede il compito di dargli un nome. Viene rinnovato nel Presepe il principio della dolce ed utile compagnia degli animali all'uomo.  Pertanto, dovremmo sempre ricordare, per avere  un comportamento adeguato e rispettoso, la Lieta novella portata dal Divin Bambinello. Sorriso sublime del Dio Padre, Creatore di tutte le cose, visibili ed invisibili. San Giuseppe in piedi, sempre paziente, ragionevole, amorevole, silenzioso, con in mano la verga. Al servizio della Sacra Famiglia. E' l'umiltà servizievole, saggia e paziente ad incarnare il padre putativo di Gesù. Maria inginocchiata, alla destra della mangiatoia che accoglierà il  Bambinello. Indossa le vesti rosse (simbolo delle regine). Il velo celeste (colore dei cieli), copre il capo e scende morbido, fino alle caviglie.  Premurosa, con immensa tenerezza ed amore, guarda la culla adorna sol di paglia.

Si utilizzava quella del grano. Elemento primario per  le ostie. Pane eucaristico consumato da tutti i Fedeli alla mensa del Signore. Nel nostro paese, come in tanti altri del meridione,  la farina era elemento base dell'alimentazione. Le donne ammassavano panette di 6-8 chili. Spesso il pancotto era il piatto del mezzogiorno, asselute o con le verdure di stagione. Persino i neonati venivano  svezzati con questo semplice cibo. Si iniziava con pochi elementi per non renderlo pesante. Man mano se ne aggiungevano altri. Questa però è un'altra storia. Ne parlerò in un futuro racconto. Beniamino dormiva nella grotta vicino a Gesù. E' lui che ha ricevuto l'annuncio del Presepe. Nel sonno lo custodisce. I bambini istintivamente non lo svegliano, come intuissero l'importanza del suo riposo. Con  il suo risveglio potrebbe finire l'incanto. Vicino il cagnolino e qualche pecorella. Il vinaio  ricorda l'Eucarestia: il pane ed il vino. Invece i due compari: zi Mechele e zi Mattè, seppur collocati vicino, rappresentano il vizio ed il peccato, il carnevale e la morte. 

Il carretto trainato da due buoi con le botti di vino, guidato da Ciccibacco, rievoca il Dio pagano Bacco. La storia narra che la scelta del 25 dicembre sia  in realtà legata alla lussureggiante festa pagana del  Sol  Invictus. Istituita dall'imperatore romano Aureliano nel 272 d.C.. In realtà non vi sono prove lampanti e concrete che lo dimostrino. Però nel Presepe è presente questo particolare personaggio.

La pastorella in braccio aveva un piccino, qualche pecorella la seguiva. E' Stefania, una giovane vergine che, nato il Redentore, si incamminò verso la Natività. La leggenda istruisce che una giovane fanciulla vergine, di nome Stefania, desiderasse far visita a Maria per vedere il Bambinello. Allora era proibito alle donne non maritate far visita alle partorienti. Gli angeli le tenevano lontane. Stefania, allora, prese un sasso, lo avvolse con un manto come fosse un neonato. Lo reggeva  amorevolmente. Giunta d'avanti la grotta, la pietra prese vita, si trasformò in un tenero  bambino. Divenne per miracolo mamma di Stefano.

La lavandaia lavava i panni vicino alla fontana o al fiume. Rappresenta la mammana, la levatrice. Ella lava il bucato delle partorienti. Quella del Presepe ha solo  panni candidi, come la verginità di Maria.

Il cacciatore sparava sopra i monti. Oggi la caccia è diventata uno sport. Nei tempi passati persino i re, come Federico Secondo, la praticava.

La castagnaia, indaffarata ad abbrustolire le castagne, sulla fornace. Di solito non si mette distante dalla grotta. Il desiderio che arrivi un po'    di calore della brace al dolce Divino Bambino che grazioso sorride ed innamora.   

Il pastorello portava la pecorella sulle spalle. Mai spavaldo, ma riverente, come fosse al servizio del Santo Presepe.  Il suo gregge composco di pecore ed agnelli lo circonda. Guardano Gesù.  Nessuno voltava le spalle alla grotta. C'era la vecchietta che filava la lana.  In mano il fuso avvolto dal morbido materiale per il filato. L'arcolaio accanto lo sgabello dove era seduta. Sicuramente la porterà in dono affinchè la Madonnina la trasformi in una calda copertina per coprire il suo Bambino.

Ella faceva parte dei numerosi mestieri rappresentati nel presepe.  Con l'andare degli anni, man mano che se ne acquistavano, diventavano sempre più numerosi. Se ne potevano contare oltre cento: il pescivendolo, il macellaio, il fabbro, la campagnola che vendeva le uova, l'arrotino, il sellaio, il cestaio... Il mandriano coperto con un mantello di pelle portava provole e cascekavadde. Santa Elisabetta  i colombi o la gallina. Quando le donne del paese partorivano era usanza portare il brodo di colombo o di gallina. Oltre che a nutrire la partoriente, l'aiutava a produrre il latte per il proprio piccino.  Nel presepe è Santa Elisabetta, madre di Giovanni Battista, cugina di Maria a recare tali doni. Santa Nastasija chiama ciaramellai e zampognari per portare lode, con le dolci note degli strumenti a fiato, alla festa più bella della storia dell'uomo, la nascita di Gesù con la Lieta Novella. Quella che parla dell'amore di Dio. Sorride al mondo attraverso l'Unigenito Figlio, il Redentore.

La stella cometa sopra la grotta, fatta di cartone coperta di specchietti, lustrini argentati. Indicava ai re e pastorelli dov'era il Bambinello. In prossimità di Pasqua Epifania, infatti, nel Presepe salivano   i tre re Magi con i loro cammelli. Di solito erano riposti sotto la base, dietro il pannetto che copriva la parte sottostante. Giovanna li aveva presi alla casa sua natale. Antichi del milleottocento, appartenute al nonno dott. Giovanni Pedone. Da Lui aveva preso il nome. Alti trenta centimetri, dipinti a mano. Erano sproporzionati rispetto al resto, ma Giovanna ci teneva. Era un legame con la sua storia. La loro fattura artistica li rendeva particolarmente belli. Sebbene stonassero nella scena, alla famiglia piacevano. A quei tempi non si usava, fra l'altro, acquistare oggetti simili a quelli in possesso. Credo sia impossibile poterli dimenticare. Con il cotone, la neve si posava sui rami. La farina imbiancava le montagne. Non mancavano gli angeli, in alto, ai lati della grotta. All'albero, Matteo, appendeva le arance, i mandarini, qualche cioccolatino ricoperto di stagnola colorata. Di solito non arrivavano alla Pasqua Epifania. Man mano il numero si assottigliava. I figli numerosi non sempre resistevano alla tentazione.

Qualche stella filante, d'oro o d'argento, sui rami dell'albero finiva “l'abbellimento”, la decorazione. Una sediolina rimaneva sempre vicino. I figli più piccoli si sedevano per stare le ore a contemplare. Nelle case ancora non irrompeva la televisione. Il Presepe era come un teatro silenzioso che prendeva anima nella fantasia di chi lo guardava con amore e devozione.  Nella mente in contemplazione, affioravano le parole del proprio parroco, padre Valentino, della catechista, della nonna devota. Bastavano i loro insegnamenti per darne voce. I personaggi ben si presentavano. Lasciavano immaginare la catechesi trasmessa dal grande Santo, Francesco.

Chi aveva bisogno dello spazio teneva allestito il presepe  fino a Pasqua Epifania. Era usanza, però, conservarlo fino alla Candelora, quaranta giorni dopo il parto di Maria, il 2 di febbraio. In questo giorno, nelle chiese, si benedicono e distribuiscono le candele. Segno di luce, di uscita dalle tenebre, dall'inverno. Da questo i proverbi: Lu jiurne la ncannelora, lu uèrn jèsce fore. A Mattinata: A Ngannelora ce nèveche e cce cchiove, jèsse suracidde “Amme fatte méze vernecìdde”. Suracìdde significa topolino, in realtà rappresenta il sole. Non di rado, nel mese di dicembre, le nevicate erano copiose. Dalle finestre e balconi, il biancore illuminava l'aria della casa. I rumori venivano attutiti. Il Presepe, allora, in quell'atmosfera, acquistava una coltre di santità, di dolcezza e romanticismo unico ed indimenticabile.

San Marco in Lamis, dicembre 2023

(d.ssa in Teologia e Giurisprudenza.)

di  Anna Piano

 

 

[1]Testimonianza del sammarchese Angelo Nardella, nato il 01.01.1945, figlio di Angelina Bonfitto.

[2]Testimonianza del sammarchese Francesco Villani, nato nel 1946, figlio di Maria Spagnoli

[3]Testimonianza di Angelo Nardella.

[4]Testimonianza del sammarchese Angelo Nardella, nato il 01.01.1945, figlio di Angelina Bonfitto.

[5]Testimonianza del sammarchese Francesco Villani, nato nel 1946, figlio di Maria Spagnoli