Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, giovedì 3 gennaio 2018 -  Esistono poichè ci siamo noi. Non sono intraprendenti, se non lo siamo noi. Discrete in un modo quasi scientifico. Non fanno un passo più lungo della loro gamba. Non arrossiscono, non parlano, non consumano  ossigeno, e non chiedono nulla. Cercano il sole, per potere proiettare le nostre vite. Di notte muoiono per poi risorgere e ritornare ad essere sempre uguali. Sono le ombre. Nessun’anima da mostrare al Mondo, ma solo e sempre lo stesso colore: un nero che non incute timore, ma che si nasconde sempre dietro qualcuno.

 E non hanno paura del sole. Viviamo con la nostra coscienza protesa alla luce e, lei, l’ombra, ci segue. Forse vuole vedere se le nostre azioni sono buone e giuste. Oppure tenta a volte di farci nascondere dietro di essa per correggere i nostri moti dell’animo. È un’amica che ci è stata data da quando è nato il giorno. Prima, non c’erano ombre, ma solo sfumature di nero che non si riuscivano a distinguere bene. Poi, con il giorno tutto venne alla luce, e vedemmo per la prima volta, qualcosa che non riconoscemmo immediatamente. Quando capimmo che ci avrebbe seguito per tutta la nostra vita, allora sapemmo che questa amica silente e fedele, ci avrebbe messo del suo, per farci capire quando la luce è troppa, e quando è poca.

 Un uomo che capì tutto questo e tanto altro, è stato il fotografo cinese Fan Ho (1931-2016), capace di un uso estremo e poetico della fotografia in bianco e nero. Quasi tutti i suoi scatti sono stati eseguiti ad Hong Kong, e ogni soggetto ritratto, ha la sua “doppia esposizione”: è accompagnato da un’ombra. Come se un Angelo Custode suggerisse a quel soggetto fotografato, come posizionarsi davanti alla macchina fotografica.

 Sono foto silenziose: non si scorgono altre forme di vita oltre i soggetti ritratti e le loro ombre, che spesso sono lunghissime. Come se volessero coprire buona parte del Mondo, che viene calpestata da gente non inquadrata nell’obiettivo. Ombre amiche, che custodiscono forse segreti estremi e che non si riescono a decifrare in nessun modo. Ombre come impermeabili che difendono quelle persone ritratte, dai mali del Mondo. Non c’è mai un’ombra, in queste foto, più piccola del soggetto. Come se quelle ombre fossero capaci anche di farsi “abitare” dai loro “proprietari”.

 E poi, c’è tanta solitudine: nelle foto di Fan Ho chi viene ritratto è quasi  sempre da solo, non c’è una moltitudine, ma solo lui, la sua ombra e intorno un Mondo assente. Queste foto somigliano molto ai dipinti di  Edward Hopper: solitudine, angoscia, alienazione. Poche certezze su ciò che esiste al di là della propria ombra.

 È come se le ombre di ognuno di noi, rivelassero chiaramente ciò che è visibile dentro di esse, è più che sufficiente per capire il Mondo. Oltre la personale ombra, ci sarebbe troppa confusione: meglio vivere dentro i propri dubbi. Quelli che esistono oltre il confine delle nostre ombre, non aggiungono nulla di più…