Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, mercoledì 2 gennaio 2019 - Vedere un calciatore professionista come Josè Gimenez dell’Uruguay, piangere quando l’incontro di calcio tra la sua nazionale e la Francia ancora non finisce, vale molto di più di tante coppe e trofei alzati da altri sportivi.Il calcio è il gioco più bello del mondo per tanti motivi: per l’imprevedibilità del risultato, per il tifo che non ha eguali in altri sport, per l’attesa di ogni partita che venga disputata anche sui campi di terza categoria.
Ed è imprevedibile anche vedere calciatori piangere, poiché la loro squadra verrà eliminata da un Mondiale tra alcuni minuti, al termine dell’incontro. Vederli piangere alla fine di una partita ormai persa, fa comunque tenerezza: si tratta sempre di ragazzini, che quasi nessuno di loro supera i trent’anni di età.
Sono immagini che ci fanno ritornare indietro nel tempo, quando si giocava da bambini: allora si piangeva anche se non si riusciva ad entrare nella “rosa” di una squadretta di calcio composta da 6-7 ragazzini. L’esclusione era quasi un “fallimento” della propria infanzia.
Il paradosso più evidente era quando l’amichetto si riprendeva il pallone perché “Era suo!!!”, e andava via, per un rigore negatogli!! E si piangeva per poter continuare la partitella. Il pianto dei calciatori adulti e professionisti, li fa ritornare indietro di pochissimi anni, proprio per il fatto che anche loro sono, pensandoci bene, ancora dei ragazzini ventenni.
Piangono non solo per quella partita persa, ma soprattutto per il prossimo Mondiale che arriverà tra quattro anni, e se loro ci saranno in quella nazionale. È un pianto molto più dilatato nel tempo di quello di quando si era ragazzini: è a lento rilascio. Come le terapie non quotidiane che vengono prescritte per lunghi periodi.
È un pianto che riassume forse tutta la loro carriera calcistica fino a quel momento: rivedono in pochi secondi centinaia di partite disputate, gol realizzati, parate effettuate, ammonizioni ricevute, passaggi in squadre dove hanno giocato… Il tutto riassunto in pochi secondi di lacrime. Sono lacrime che non danno la possibilità a quei calciatori di pensare o immaginare incontri futuri, come se la loro attività calcistica finisse quel giorno.
E forse è proprio così: da quel pianto si rinasce calcisticamente. Si riparte quasi da zero. C’è un prima e un dopo “quella partita”. Un punto di ripartenza che somiglia molto a quando nelle vite di tutti noi, qualcosa avviene. E da lì si ricomincia a tirare calcio ad un pallone o a tutto ciò che da un momento all’altro arriverà.
Ed è per questo che José Gimenez è l’uomo dell’anno!
Mario Ciro Ciavarella Aurelio