Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, martedì 13 novembre 2018 -  Negli ultimi anni c’è stata una straordinaria produzione di telefilm, che sta mettendo in difficoltà il cinema stesso. Infatti, molti attori preferiscono recitare nei serial, mettendo da parte partecipazioni cinematografiche. Anche perché i telefilm, di recente produzione, durano stagioni che possono arrivare anche a 7-8, con un totale di puntate che toccano le centinaia. Dando agli attori che vi partecipano, una visibilità straordinaria che non avranno con una sola pellicola cinematografica.

 Da due anni è in programmazione il telefilm “The OA”, trasmesso da Netflix. Una serie “senza né capo e né coda”, così sembra. Ma se si insiste con la visione, si capisce che sotto c’è un filo rosso che collega non solo tutti i personaggi alla serie, ma anche le situazioni che si dipanano man mano che la storia va avanti.

 La storia inizia con la protagonista, che è cieca, che ricompare dopo alcuni anni dalla scomparsa. Ma ritorna con la vista riavuta, e inizia a raccontare  la sua storia. Il fulcro della vicenda ruota soprattutto su uno strano personaggio che imprigiona dei ragazzi che hanno avuto delle esperienze di pre-morte: quelle strane sensazioni in cui il cervello “muore” per pochi minuti, per poi riprendersi.

 In questo breve intervallo, in cui il cervello si ferma, tutte le persone soggette a questo strano fenomeno (tutto questo succede anche nella realtà!!), vivono in un’altra dimensione che non riescono a ben definire. Il killer che ha imprigionato i cinque ragazzi, sperimenta su di loro tali esperienze, portandoli ancora un volta ai confini della vita.

 Questa è la storia raccontata “semplicemente”. Ma il bello è che non è così semplice definire questo telefilm. Già il titolo, e il nome della protagonista, OA, è un termine poco chiaro. Ed è lei che, sfuggita al killer, potrà raccontare tutta la sua storia. Gli episodi è come se fossero indipendenti: ognuno racconta un fatto ben specifico, per poi riallacciarsi con il resto delle vicende.

Tecnicamente il telefilm è perfetto: ormai i mezzi tecnici per le riprese e il montaggio in digitale possono permettere questo ed altro, ma la maestria è palpabile soprattutto nella sceneggiatura, che sembra non avere sbavature: non è semplice quando si scrive una storia “non confondere” il passato con il presente del protagonista. La bellezza delle storie nei recenti telefilm è dovuta anche ai testi: i dialoghi sono spesso lunghi e complessi, come nel caso di “OA”.

 Questa serie ha il pregio di rompere la semplice nozione di “divertire senza pensare”, in questo caso è difficile anche sapere il perché di questa storia. In “OA” nasce il dubbio: la protagonista racconta la sua storia dicendo la verità oppure è completamente inventata??  

 Non sembra che sia inventata, anche perchè sulla pelle della ragazza ci sono dei messaggi incisi… e ci fermiamo qui con la “spiegazione”. Il mistero di questo telefilm consiste anche nel fatto che è stato lanciato con nessuno slogan o campagna pubblicitaria: ci viene propinato da Netflix da alcuni anni senza nessun clamore, in assoluto silenzio. Lo stesso che si “sente” lungo le otto puntate del serial.  

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio