Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, martedì 19 giugno 2018 -  Il concetto di spogliatoio non ha mai messo gioia o armonia in un calciatore. C’è sempre l’immagine di uno sportivo che mestamente va a riprendere il suo posto dopo, magari, un incontro non straordinario. Il giocatore ce lo immaginiamo così: con la testa bassa, le spalle ricurve e i suoi pensieri al prossimo incontro, se lo disputerà. Eppure la via “verso lo spogliatoio” ha cambiato la storia del calcio. E colui che si trovava a percorre quello storico tragitto è stato un calciatore tedesco: Karl-Heinz Schnellinger.

  Oltre il novantesimo minuto di Germania-Italia dei Mondiali del  1970, Schnellinger segnò il gol che permise a quell’incontro di andare oltre: si arrivò ai supplementari, e finì come tutti sappiamo: 4-3 per l’Italia. Ma cosa c’entra questo calciatore con lo spogliatoio?  C’entra nel senso che, siccome l’Italia stava vincendo quella semifinale per 1-0, e mancavano pochi secondi alla fine (si stava giocando il 93esimo minuto), il tedesco mestamente stava andando verso lo spogliatoio. Strada facendo vide nelle sue vicinanze il pallone. Dopo averlo visionato, tirò in porta: 1-1.

 E da quel momento in poi iniziò l’incontro vero e proprio: altri 30 minuti che rimasero nella storia del calcio, dando a quell’incontro il titolo di  “Partita del Secolo”. Tutto merito di uno spogliatoio. Questo ambiente potrebbe essere considerato una specie di confessionale di oggi. È lì che si medita, si calcola, si organizza l’incontro che verrà.  È tra quelle quattro mura non sempre ampie e accoglienti, si dà vita a giocate e buone intenzioni calcistiche. Ma è anche dove nasce la complicità dei giocatori: ci si conosce meglio, per uno sportivo, in uno spogliatoio che in una pizzeria.

 Ricordo lo spogliatoio di tanti anni fa del campo sportivo del mio pese, erano pochissimi metri quadrati di una casetta gialla, verso un angolo del campo da gioco. Dove in alto, all’altezza della porta del direttore di gara, campeggiava la scritta: “Albitro”. E tale scritta rimase così per tantissimi anni. Poi qualche letterato locale finalmente si decise di rivelare al popolo sportivo che la dicitura corretta era “Arbitro”. Ma nulla cambiò: quando si giocava soprattutto ai tornei cittadini, i tifosi per attirare l’attenzione dell’arbitro, gridavano:“Albitro!!”. Storie da spogliatoio… A me sembra, ricordando la scritta sammarchese ”Albitro” sul muro dello spogliatoio, e lo spogliatoio di Karl-Heinz Schnellinger verso il quale si stava dirigendo pensando che la partita fosse  ormai terminata, lo si potrebbe considerare una placenta.  

 Lo spogliatoio come un grande involucro dentro una pancia da dove nascono idee e le volontà di tanti calciatori. È come se lì dentro iniziasse la vera partita: una sala parto dove la gestazione dell’incontro che sta per essere disputato, dà vita ai primi vagiti. Si scalcia, si grida, e si danno i primi segni di vita, sia nella pancia della futura madre, che in uno spogliatoio. E poi alla fine di una partita, quell’ambiente può diventare teatro di feste, oppure un locale per ricevere condoglianze: dipende dall’esito di quell’incontro.

 Come il ciclo della vita: nello spogliatoio viene pianificata una gara, e sempre lì dentro si tirano le somme di quello che è avvenuto a fine incontro. Sarà stato lo stesso per la partita del 1970 tra Italia e Germania: spogliatoi uguali come logistica, ma vissuti in modo diverso subito dopo la fine di quella semifinale.

 

Mario Ciro Ciavarella