Antonio Del Vecchio
San Marco in Lamis, sabato 26 maggio 2018 - C’era una volta la sirena a riscaldare i cuori dei Sammarchesi. Oggi un po’ meno. Il suo suono familiare scandiva i momenti principali della giornata: l’inizio lavoro o delle scuola; l’interruzione a mezzogiorno per il pranzo, ecc. Raramente suonava fuori di questi orari e quando accadeva, era in virtù di un incendio. Allora tutti i giovani e gli uomini abili,interrompevano il da farsi e si portavano in Largo Piano (attuale piazza Europa). Ci andavano per fare le squadre e recarsi alla Defènsa (Difesa), per la bisogna.
Negli anni’60, al richiamo non mancava nessuno, anche perché per via della povertà generale, il compenso che passava il Comune era molto ambito dai disoccupati, perché li aiutava a sfamare se stessi e le rispettive famiglie. A ricordarci i sentimenti passati ci pensa questa volta Alexis, il giovane poeta del momento, che ha dedicato all’argomento una bella e ed avvertita poesia, pubblicata da poco sulle testate giornalistiche online sanmarcoinlamis.eu e sanmarcoinlamis.org. Lo fa iniettando nei versi tanto calore e sentimento e perché no anche un pizzico di nostalgia. Non a caso la lettura di essi ha suscitato in molti un gradito ricordo, accolto anche con piacere dalle nuove generazioni, di solito concentrate sulle esigenze del presente e sulle prospettive per il futuro.
Sul come e il perché dell’istituzione della sirena permane ancora molto mistero, anche per via di dati e date incerti ed approssimativi, riferiti dalla storia orale, non confortati, peraltro, dalle carte. Secondo i bene informati, inizialmente ha cominciato a svolgere il medesimo ruolo di allerta una rudimentale sirena installata ai tempi della Seconda Guerra Mondiale su Palazzo Badiale (Municipio). Usanza, quest’ultima, assai in voga in tutt’Italia, specie nelle grandi città, dove, a cominciare dall’8 settembre 1943 (armistizio) i bombardamenti erano all’ordine del giorno. L’anzidetta sirena era caricata a manovella, pronta ad entrare in funzione in caso di bisogno (bombardamenti o incendi).
Prima di essa, tali tipi di eventi ed altre sciagure venivano segnalati addirittura dalle campane della Chiesa della Collegiata, suonate a distesa, come se fosse giornata festiva. Nel dopoguerra si pensò di continuarne l’uso, affiancando lo strumento all’orologio del mastodontico Edificio scolastico “Balilla” (vedi foto), realizzato negli anni ’30 dal noto ingegnere romano Guido Tarantelli. Qualcuno ricorderà che nella primavera del 2009 venne qui appositamente il nipote Renato per ritrovare le tracce affettive della nonna materna Giuseppina a Rignano e quelle appunto di una delle tante opere del nonno paterno Guido a San Marco. Fu proprio questa venuta a suscitare in lui la vocazione religiosa. Cosi che abbandonerà la sua luminosa carriera di avvocato di grido e di docente universitario per ritirarsi in seminario. Non a caso è di pochi mesi fa la sua ordinazione sacerdotale, effettuata in pompa magna, assieme ad altri, da Papa Francesco nella Basilica di San Pietro.
Riprendendo il discorso di cronaca, va detto subito che l’anzidetta sirena iniziò la sua funzione effettiva in modo automatico alla fine degli anni ’50, ideata prima dal sindaco Giovanni Palatella, e messa in pratica dai suoi successori, Matteo Giuliani e Paolo Cascavilla. Qualche tempo fa, ci fu qualcuno, che suggerì agli amministratori di togliere - secondo il loro dire – l’anacronistica usanza. L’incauto ‘consiglio’, comunque, non andò a buon fine, perché suscitò da subito, una volta informata della questione, il malumore e la protesta della gente, decisa ad ogni costo ad alzare le barricate per impedire la morte di una tradizione, ritenuta coralmente tra le più belle ed avvertite della città, al pari delle Fracchie, come recita il poeta.
L’incarico di controllo-funzionamento fu svolto dall’orefice Paolo Torelli (1929-2004) , sostituito dopo il suo pensionamento dal collega in arte, Angelo Pignatelli, che permette tuttora alla sirena di continuare ad emettere la sua potente ‘voce’ amica.
Ecco la poesia di Alexis. La Sirena
/La sentìme da quanne sime nate, /quiste sunà, non ce ha ma’/scunciàte./Quedda matenéra, dòce come na /carézza de mamma, te dice /“ resbigghite che so’ li jòtte o /spiccete che ajì alla scòla”. /Lu sòne de mézijùrne jè pure /familiare, ma cchiù furmale, /jè come nu cumande, pare de /sentì la vòce lu sìnneche che dìce /alli fémmene d’ accumenzà a /preparà lu magnà, a chi fatija/de funì quidde che stà facènne,/a chi passejèja sope lu viale de/jìrece a reterà che l’aspéttene./Pe quidde che stanne alla scòla,/sentì la Sirena jè na cosa che/li dà curagge e li rallègra/lu còre, pecchè li dice/“ natu poche e po’ asscìte”./Ma lu valore cchiù fòrte/che tè, jè quanne sona all’at’ora/pe farece sapè che ce appiccia la/Defènza./Inde a quiddu muménte ce menome/tutte fòre, chjine de curagge pe jì/a stutà lu foche, tutte ce sentìme/vurrére e sime na cosa sola pe/defènne lu Pajése nostre:/Sande Marche./La Sirena jè come li Fracchie, li/tenìme sule nuua e nisciune ce la/dà luuà./Viva la Sirena! / Alexis, Giovane poeta sammarchese