Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, lunedì 7 maggio 2018 -  Tanti anni fa, si aspettava vicino al telefono l’arrivo di una telefonata che poteva cambiarti la vita. Lo  si fissava, si alzava spesso la cornetta per vedere se c’era la linea, oppure l’apparecchio potesse essere guasto. Poi si riagganciava e si continuava a fissarlo. Lo si sfiorava con le mani quasi a convincerlo di suonare. Con le dita si faceva girare la ruota, quella dove c’erano scritti in circolo i numeri del telefono. Quasi ad invogliarlo a dare almeno un segno di vita.

 Il telefono di una volta era quasi un amico da prendere dal verso giusto. Ma lui restava spesso muto. Quei numeri non avevano un’anima, ma solo tanta plastica dura che non si riusciva a scalfire in nessun modo. E pesava. L’apparecchio telefonico di una volta pesava ed era ben visibile anche da relativamente lontano. Dava autorevolezza a quella abitazione: non tutti avevano un telefono in casa.

Color grigio, il colore dell’indifferenza. Tutto grigio: la cornetta, l’apparecchio vero e proprio e il filo. Un’indifferenza che non cambiava nemmeno quando finalmente arrivavano le telefonate che aspettavi da ore o giorni. E pure gli squilli del telefono non erano tutti uguali.

Lo squillo che ti faceva sobbalzare era quello che ti preannunciava notizie in arrivo poco fauste. Gli squilli che non destavano in te nessun sintomo di preoccupazione erano quelli che ti facevano esclamare: “Finalmente!!”

Famiglia Tritto. Il capofamiglia era Franco, l’assistente universitario di Aldo Moro. Ed è lì che arrivò una telefonata diversa da tutte le altre. Non solo diversa per quell’abitazione, ma per l’Italia intera. Franco, il 9 agosto esattamente di 40 anni fa, alzò la cornetta di quel telefono e da  quel momento le telefonate per tanti italiani avevano uno squillo diverso.  Di un sapore che si poteva anche assaporare con tutti i cinque sensi, non solo con l’udito.

Da quella cornetta uscirono le parole che misero fine alla vita di Aldo Moro. Parole che vennero registrate essendo quell’apparecchio telefonico sotto controllo. E quindi entrate nella storia come le ultime parole del brigatista Valerio Morucci.

Parole non gridate, ma quasi adagiate sulla cornetta di quel telefono di una cabina telefonica. Parole stanche, come si evince dalla registrazione.  Parole che hanno sfiancato il suo possessore: “Ecco, non posso stare molto al telefono… comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro…”

Via Caetani. È un strada di Roma che si trova tra la sede della Democrazia  Cristiana e via delle Botteghe Oscure, dove si trovava la sede del Partito Comunista.

Una strada spartiacque che ha segnato non solo la storia della Repubblica Italiana, ma anche quella dei due partiti più popolari di alcuni decenni fa. Una via, penso, non decisa dal caso. Ma un significato politico ce lo  doveva avere.

 Intanto al telefono Franco Tritto cede letteralmente corpo e anima, e passa la cornetta a suo padre che continua a parlare per alcuni secondi  con lo stesso brigatista. Il quale conferma ancora una volta l’esecuzione avvenuta, poco tempo prima, del Presidente Aldo Moro. Fine della telefonata.

I due telefoni, quello da dove era partita la telefonata e quello dove arrivarono le parole di Moretti, restano muti. Le cornette vengono appoggiate sui rispettivi apparecchi telefonici e tutto tace.

Da quel momento quei due telefoni perdono l’anima. Fino a quando non verranno usati di nuovo per far scorrere su quella linea telefonica, tanti altri discorsi fatti tra parenti e amici. Senza che nessuno abbia saputo che in quei fili, tempo prima, sono passate parole che hanno tolto il respiro a quel sistema di telefonia. E parole che hanno cambiato la storia dell’Italia recente.

Le parole sono importanti! Sono talmente importanti che spesso fanno  nascere o morire delle storie. Di qualsiasi genere. Quando si riattacca la  cornetta, è come se un giudice avesse sentenziato su un dubbio esistenziale tra amanti o amici. Anche i contratti a volte vengono fatti tramite parole che viaggiano tra fili del telefono. Quando venne appoggiata la cornetta telefonica di quel telefono, in quella cabina telefonica, è come se ci fosse stato un giudice che avesse emesso la condanna a morte di Moro.

Fateci caso: quando si chiude una conversazione telefonica, è quasi  impossibile riallacciare un discorso serio. A meno che una delle due parti richiami. Ma richiamare significa cedere all’altro. È un atto di debolezza. È dichiararsi sconfitto.

La telefonata fatta dal brigatista per chiudere il caso Moro non aveva altre vie d’uscita. È stata una telefonata per chiudere un cerchio. Ed è stato chiuso in modo perfetto. Una perfezione che non si può spiegare  con la ragione umana, ma con quella di chi in quel momento credeva di essere dalla parte giusta. Dalla parte di una rivoluzione che nessuno aveva annunciato. Se non solo da decine di giovani “comunisti incompresi” dal resto del Partito Comunista di allora.

Chissà se le parole dette in una cornetta, poi rimangono in qualche modo imbrigliate in quella linea telefonica. Se così fosse avrebbero una vita propria, adatta a far sì che qualcuno che prenda la stessa cornetta subito dopo, potesse avere la sensazione di ascoltare le vite degli altri. Appena dettate in quell’apparecchio telefonico.

Come se fosse un’eco o un rumore di fondo. E potremmo ascoltare sussurri e grida di vite appena nate o finite. Di gente che grida la propria innocenza o che vuole assolutamente avere un’altra possibilità per dimostrare le proprie capacità.  

Nei fili dei telefoni, dove sono state dette parole importanti che hanno cambiato la storia dell’uomo, rimane anche il DNA di quelle storie. E se volessimo sovrapporre la nostra storia, forse meno importante di quelle appena raccontate lì dentro, dovremmo gridare. Far sentire la nostra voce, fino a farla giungere dove qualcuno non vuole sentire.

Le parole si sovrappongono. Ma restano vive solo quelle che alla fine chiudono delle storie che qualcuno non voleva che finissero. Come quella di Aldo Moro: la famiglia non voleva che finisse la storia del Presidente, gli italiani non volevano che finisse quella storia, alcuni politici non volevano che finisse quella storia, ma altri politici volevano che finisse quella storia.

 Quella storia che è finita nei fili di una linea telefonica, era iniziata quasi allo stesso modo: con rivendicazioni fatte sempre tramite telefonate, oltre che con messaggi lasciati sparsi dentro Roma. Ma la voce lanciata tramite telefono, ha una presa emotiva più forte rispetto a dei pezzetti di carta scritta, dove non si sente il fiato e il cuore  che batte, sia di chi chiama e sia di chi riceve le telefonate.

“Via Caetani… lì troverete il corpo del Presidente Aldo Moro…” Ognuno può leggere come vuole queste poche parole. Ma ascoltarle dalla viva voce dell’autore di un delitto, non è la stessa cosa!

 

Mario Ciro Ciavarella