Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, lunedì 26 settembre 2016 - Non è facile per niente, ridere su disgrazie e malattie (altrui). Eppure Checco Zalone ci riesce benissimo nell’ultimo spot per sensibilizzare la ricerca sull’atrofia muscolare. L'atrofia muscolare è una riduzione della massa muscolare e ne determina una parziale o completa perdita di funzione. La principale conseguenza dell'atrofia è la debolezza muscolare (astenia).
Nello spot si racconta l’arrivo di Mirko, un ragazzo affetto dalla malattia di cui sopra, nello stesso condominio del comico. L’attività “rumorosa” del bimbo, compreso il posto auto a lui riservato, dà molto fastidio a Checco, il quale decide di correre ai ripari: invitando tutti a sostenere la ricerca per sconfiggere la suddetta malattia.
Ora, diciamolo: quando si racconta una malattia è molto facile cadere nel “vittimismo” di chi ci vive fin troppo dentro quella realtà come paziente. E da parte degli “spettatori” ci si sente molto presi da quei racconti fatti di lacrime e sofferenza.
E far ridere per convincere la gente a donare del denaro non è assolutamente facile. Si poteva scegliere uno spot dove il comico magari non doveva scherzarci sopra, come invece ha fatto. Ma raccontare “in modo normale” il dramma di quel ragazzo mettendosi nei panni dello stesso: non riuscire ad avere un posto auto tutto per lui, oppure cercare di convincere a ballare una ragazza con lui che è seduto per sempre su una carrozzella.
Sarebbe stato uno spot “facile”, che tutti avrebbero potuto pensare e realizzare. Invece la genialità di questo spot sta nel fatto di aiutare quel bimbo, non solo per farlo stare bene per sempre, ma anche per non avere scocciature future dai problemi del bimbo.
Bisogna anche dire che il confine tra il ridicolo e il dissacrante in questo caso è molto sottile. Lo spot è calibrato bene: ogni parola, ogni gesto è fatto nella misura giusta, senza esagerare in un verso o nell’altro.
Anche accettare da parte dei soggetti affetti da patologie molto invalidanti come l’atrofia muscolare, interpretare se stessi in filmati del genere non è da poco: ci vuole molto coraggio e anche un senso di autoironia molto elevato. Si deve ridere della propria sfortuna, di una vita sofferente, che tutto è tranne che vita come noi “normali” la consideriamo (diciamolo).
Dicono che il cervello si adatti a tutte le condizioni, e quindi anche a condizioni di vita estrema come quella di questi pazienti. Non so fine a che punto il cervello sia talmente malleabile nell’accettare di non poter muovere quasi nulla del proprio corpo.
Ci saranno altre motivazioni che permettono a questi signori pazienti!!! di andare avanti, di studiare, di socializzare, di lavorare. Motivazioni alle quali io non so trovare delle risposte precise. Ci sarà qualcosa di immateriale che a noi “normali” manca!!
Ci sarà una specie di aura: un alone di quasi sacralità che avvolge i corpi di questi soggetti. Comunemente l’associamo all’aureola che circonda la testa dei santi nelle raffigurazioni sacre. Sarà questa opzione poco materiale e molto mistica che dà loro una marcia in più.
Magari il prossimo spot da fare per sensibilizzare la ricerca su come sconfiggere malattie gravi, potrebbe essere quello in cui si vede un paziente gravemente ammalato che vola in alto sorretto da un carro solare (la loro aura) e Checco Zalone che da sotto cerca di assorbire un po’ di quel calore. Poiché si trova in pieno inverno e la sua temperatura corporea non gli permette nemmeno di andare allo stadio dove alcuni atleti in carrozzella stanno disputando delle gare di atletica leggera (in pieno inverno).
Loro possono, hanno un qualcosa in più che a noi manca spesso: ridono senza piangere.
Mario Ciro Ciavarella