Luigi Ciavarella
San Marco in Lamis, lunedì 15 giugno 2020 -Ho conosciuto Francesco Guccini con Via Paolo Fabbri 43, il suo domicilio bolognese, nei tardi anni settanta. Anzi con L'avvelenata, il celeberrimo brano contenuto nell'album, che rappresentò per me (e direi per una generazione intera) un'autentica, assoluta novità. Rancorosa, sincera e ironica, la canzone, che si faceva carico dei tic della società contemporana, aprì la mia mente alla sua poetica da osteria in maniera pressoché immediata. Certo, prima c'erano state L'antisociale, Dio è morto, Auschwitz, Canzone per un'amica, etc.
ma l'avvelenata era tutt'altra cosa, un' altra narrazione perché rappresentava non soltanto una invettiva feroce contro il sistema borghese, finto e qualunquista, ma sosteneva anche una denuncia delle contraddizioni della società contemporanea, che colpì molto l'immaginario di tutti. Ma l'intero album è una denuncia continua dei mali e delle storture contemporanei. Dalla introduttiva Piccola storia ignobile, che mette a nudo il dramma dell'aborto attraverso un racconto crudo, alla tenerezza del Il Pensionato, che chiude l'album. In mezzo oltre all'Avvelenata, che verrà ripresa più tardi in un album live con i Nomadi, anche Via Paolo Fabbri 43, che guarda, per raccontare la sua formazione intellettuale, all'America on the road della Beat Generation ma anche al Bob Dylan di Blonde On Blonde, dove non ha mai negato di ispirarsi sin dagli inizi. Canzone quasi d'amore, la penultima del disco, invece è una riflessione su una storia d'amore finita, malinconico epilogo di una relazione giunta al capolinea.