Nicola Maria Spagnoli

San Marco in Lamis, venerdì 21 luglio 2017 -  Il Rococò, in architettura e nell'arte naturalmente è stato il periodo, nel XVII secolo, in cui si è dato sfogo alla fantasia ed alla contaminazione oltre che, soprattutto, alla riaffermazione del potere della Chiesa contro le riforme e contro lo scisma luterano. E' stato quindi, in fin dei conti, un ritorno alla tradizione contro i modernismi più pericolosi che ne avrebbero minato il potere. Nel nostro caso, molto più modesto ovvero nella Storia del Rock, il paragone potrebbe essere un po’ irriverente ma lo riteniamo comunque appropriato, se non altro per affinità terminologica.

 Nella breve storia del Rock, dunque, se c'è stato un periodo in cui si è cercato di fare la stessa cosa che avvenne per l'arte, certamente è successo negli anni settanta del secolo scorso, con la nascita di quello che comunemente viene definito Progressive Rock. Per un fondamentale filone del Progressive, e per alcuni studiosi e perfezionisti, che arrivano a non inserire nemmeno il gruppo degli Area nel filone, il termine più appropriato dovrebbe ovviamente essere affine al periodo storico citato e dovrebbe quindi chiamarsi rock-rococò che in fin dei conti è proprio il contrario di progressive, oppure, in una sola parola (chi ce lo impedisce?) che inventiamo qui: rockocò.

Ma torniamo al termine classico più accreditato per definire la nuova musica di fine ’60 “Progressive”: ci starebbe pure bene se non fosse che la maggior parte dei rokkettari, ovvero degli appassionati del rock, riconosce tutt’oggi in questa parola solo e soprattutto un filone, quello dello strano connubio fra rock e musica classica, da quella medievale a quella dell'ottocento, a volte sforando anche nella classica contemporanea, ma soprattutto il saccheggio della musica barocca, quella vera, Bach in primis.

All’inizio non era così, il termine indicava soprattutto il nuovo rock, quello alternativo e lo dimostrano alcune riviste specializzate e nuove dell’epoca come il numero 1 di GONG, in cui si dava ampio spazio alle Mothers of Invention, agli Hatfield & the North, a Tim Buckley, alla Bongo Dog Doo Dah Band, ma anche al nuovo jazz di Archie Shepp ed ai nostrani Il Volo, supergruppo di Vince Tempera e Alberto Radius. Il termine d’altronde girava già, e abbondantemente, dal ’69, financo sulle raccolte inglesi della Vertigo, della Harvest e di altre case discografiche specializzate nella scoperta di nuovi gruppi.

L'uso della "suite" nei pezzi o anzi, nelle composizioni, per lo più realizzate con strumenti a tastiera allora in gran voga come il mellotron o i primi synt, i VCS3 (acronimo di Voltage Controller for Studio with 3 oscillators) usati per primi dai Who e Hawkwind poi da Eno nei Roxy Music e in Italia da Piero Umiliani e dal più popolare Battiato in Fetus dalla scandalosa copertina (Foetus nell’edizione inglese). Questi nuovi strumenti, certamente una novità per l’epoca, affiancarono innanzitutto organo e pianoforte ma naturalmente anche basso, batteria e chitarra, i classici strumenti del rock'n roll e delle sue successive evoluzioni. Ma non era tutto lì. Insomma non era cosi' semplice o semplicistico. C'era di più. C'era soprattutto il ritorno della cultura, voluta sia dai musicisti che si erano formati nelle accademie, ed in questi potremmo individuare certamente l’inconscio "vecchio" potere, ma c'erano anche i gusti del pubblico giovanile che erano maturati, almeno di quello più "acculturato" come studenti e figli di papà che potevano più facilmente spendere in dischi e, diciamolo pure, una voglia post-sessantottina di ritorno all'ordine. Questa voglia venne però immediatamente annullata dai gruppi prog politicizzati ad iniziare dagli Area, poi dai T.T.T. (Teatro Temporaneamente Traballante) e poi anche da altri. Ma come mai la Classica aveva avuto questo revival improvviso? Merito della sua diffusione di massa con le prime uscite in edicola, da parte di alcune case editrici, di fascicoli e dischi con la storia della musica seria, a volte con una vera e propria "presentazione” dove le musiche venivano introdotte con delle vere e proprie piéce teatrali da parte di grandi attori o voci del momento.

A tal proposito, indimenticabile, in Italia, e quindi oggi molto quotata, la mini-serie della Fabbri (Introduzione alla Musica, 300 euro di valutazione oggi) con le voci, fra gli altri, di Arnoldo Foà e di una ancora ragazzina, allora soltanto attrice, Loretta Goggi. Bellissima, fra le altre, un’altra famosa serie, del ’64, a 45 giri sempre della Fabbri (Storia della Musica), con copertina apribile e la scoperta di tutto un mondo musicale soprattutto etnico, con una selezione che attingeva a piene mani dai cataloghi Philips, Prestige e Chant du Monde. Un altro segnale lo diedero nei '60 alcune colonne sonore suggestive e piene di nuovi suoni, fra cui, a parte quelle notissime di Ennio Morricone, alcune sconosciute e meno famose come quelle di A.F. Lavagnino (Kali Yug del ’64 ad esempio) con espliciti riferimenti al mondo dei raga indiani, molto tempo prima che li "scoprissero" i Beatles o che diventasse popolare in occidente "un certo" Ravi Shankar.

E proprio ai Beatles molti addebitano, alla metà degli anni '60, con Revolver e soprattutto con Sgt.Peppers, la vera nascita di una musica diversa, svincolata dal beat e dal rock che si dilata e cerca altri orizzonti, seguiti a ruota dalle Pietre rotolanti con il loro sottovalutato e psichedelico "There satanic majesties request". Ma dove la mettiamo la lunga Goin’home del ’65 da Afthermath, sempre degli Stones, il primo brano superiore agli undici minuti in cui rock, blues e rumoristica stradale mirabilmente si fondevano? Oggi possiamo dire che se c'è stato un periodo ben definito in cui si è cercato di fare qualcosa di diverso, come stile globale e non sporadico quindi, che non fosse la solita fusion con il folk o con il blues( o fra folk e jazz come per i Pentangle) certamente è successo soprattutto negli anni settanta, appunto con quello che comunemente viene definito Progressive Rock, anche se di avvisaglie, importanti, ce n’erano state anche prima. Per rimanere nell’azzardato paragone iniziale con l'architettura e con l'arte certamente esistono altri filoni, fra cui uno che possiamo definire "gotico" che è quello rappresentato maggiormente da Peter Hammil e dai suoi Van der Graaf Generator o anche dai King Crimson, uno “medievalista” con Gentle Giant e in un certo modo Strawbs, quello romantico con Renaissance ma anche uno spiritualista-orientalista con i Quintessenze seguiti poi, a modo suo, dal nostro Claudio Rocchi.

C'era, con il ritorno alla cultura, anche il ritorno alla poesia e proprio i poeti o aspiranti tali, sono chiamati a collaborare o a confezionare testi elaborati (Pete Sinfield per i Crimson), a volte ermetici, senza più cuore e amore, testi che erano, in verità, fascinosi ma per lo più incomprensibili o almeno bisognosi di qualche spiegazione in più come nelle antologie commentate di letteratura, testi sofisticati, fuori dalla norma e, soprattutto, da ascolto, come la musica del resto che cessava all’improvviso, rompendo con la tradizione del Rock, di essere musica da ballo.

Ma la contaminazione era avvenuta a monte, proprio nella musica classica contemporanea. Veniva certamente dagli Stati Uniti dove Frank Zappa, che da piccolo aveva, da autodidatta, fatto composizione e che al suo esordio con le Mothers of Invention o nel ’66 con Freak out (uno dei primi dischi doppi) e poi con Absolutely Free e, ancor di più, con la lunghissima King Kong da Uncle Meat e nella collaborazione con il violinista J.L. Ponty, faceva riscoprire, oltre al jazz più moderno, anche i musicisti classici contemporanei Edgar Varese ed Igor Strawinsky che così divennero, loro malgrado ed a-posteriori, vere stelle del Rock. Dove Terry Riley con la sua minimalista "in C" affascinava tanti rocchettari europei (Baba o’ Riley da Who’s next), dove John Cage con il suo pianoforte "preparato" apriva ai rumori e quindi alla società moderna, trovando proseliti anche in Italia (Demetrio Stratos) e poi veniva da veri complessi rock come i Vanilla Fudge che con la stranissima suite "The beat goes on" del '68 dilatavano fino a completamente stravolgerlo il martellante riff di Sonny Bono, dai New York Rock & Roll Ensemble che trasformavano il classico in rock, o meglio il rock in classica; veniva con Walter Carlos e Benjamin Folkman che, con prefazione proprio di Robert Moog, "Switched-on"avano su John Sebastian Bach, ed in Europa con i concerti universitari di Pierre Henry o di Les Percussions de Strasbourg, stimolati dall'interesse popolare, allargato come mai prima, fino ad abbracciare Stockausen e tutte le avanguardie del ‘900.

Certamente i primi a muoversi, in Europa, nel mondo del Rock, furono i musicisti d'oltralpe ed anche coloro che s'erano già fatto un nome ed una popolarità con il filone psichedelico non tardarono a tentare di mischiare le carte con esperimenti nuovi. I Deep Purple con il loro concertone per gruppo e orchestra od i Pink Floyd che dal sofisticato Ummagumma del '69 passarono d'un colpo solo, l’anno dopo, alla sinfonia rock con "Atom Heart Mother". Alcuni si imbarcarono nell’avventura ma, per scarso successo, tornarono subito sui loro passi come gli Spooky Tooth, altri nacquero proprio, si può dire, Prog, come i Nice od i King Crimson o come l'intera " Scuola di Canterbury", comunque, dopo i primi sporadici ma popolarissimi tentativi, abbastanza isolati, di Moody Blues e Procol Harum del '67, la schiera si infittisce, e si nobilita, in Gran Bretagna con Family, Caravan, Traffic e Soft Machine ed esplode nel 1969 con una miriade di nuovi gruppi che, inevitabilmente, fecero colpo anche per le copertine "nuove e diverse", per lo più realizzate con la commissione ad artisti veri, che contribuirono non poco ad entusiasmare ed eccitare i giovani che impararono presto a distinguere a colpo d’occhio il nuovo prodotto, a volte solo guardando la copertina. Il fenomeno si limitò a pochi nomi in oltreoceano, si affermò con forza nel Regno Unito e da lì dilagò subitaneo in Germania, dove assunse un aspetto del tutto particolare, cosmico ed elettronico, in Francia, in Spagna (nel dopo-Franco naturalmente), in alcuni Paesi dell’Est e in sud America e, soprattutto, in Italia, terra della musica classica per eccellenza, dove trovò terreno fertilissimo per nuovi ed originali germogli (confortati anche dagli exploit commerciali di Orme, PFM e Banco) ma pochissimi riuscirono ad entrare nelle Charts e quindi a vendere ed anche da questo derivano alcune quotazioni da sballo di oggi per alcuni di quei long playng.

 

 *Queste puntate, ora riassuntive, furono scritte agli inizi del nuovo secolo (quindi le quotazioni dei dischi segnalati non sono certamente quelle attuali!) e pubblicate in un pamphlet per i tipi di Abilgraf-Roma nel 2005. Quello stesso anno il volumetto fu inviato a pochi, selezionati, abbonati della rivista di collezionismo e cultura musicale RARO! ed alla rivista EMOZIONI a cui l’autore, Nicola Maria Spagnoli, collaborava e tuttora collabora, anche nella nuova RAROPIU’, con recensioni, interviste e rubriche fisse di musica/storia dell’arte.

Redazione Sanmarcoinlamis.org-luglio 2017