Luigi Ciavarella

San Marco in Lamis, mercoledì 15 febbraio 2017 -  La musica dei Ten Years After aveva un unico feticcio che la distingueva dagli altri : la mitica Gibson Es-335 Signature di Alvin Lee, l’emblema stessa della loro musica, con il logo di Woodstock in bella vista sulla cassa dello strumento, accanto agli altri adesivi che sembravano medaglie al valore, punti conquistati nelle arene tumultuose di mezzo mondo dove avevano suonato, quando la musica veniva blandita e incardinata in quel processo di sintesi tra musica e bisogni di libertà.

 D’altra parte Alvin Lee suonò a Woodstock anche per comunicare al mondo la fine del suo rapporto col blues dei padri, chiudendo definitivamente la sua partita con passato, il suo candore e ila sua innocenza iconoclaste, per aprirne un'altra più diretta con il Rock n Roll, tutto sommato, alla luce dei risultati, molto più vicino al suo spirito di guerriero indomito. Lo scenario alla fine degli anni sessanta in Inghilterra è in trasformazione con momenti di ricerca spasmodica dei nuovi equilibri necessari per la propria sussistenza. E’ solo un attimo poi i percorsi verranno tracciati in più direzioni. Tutto sembra svolgersi in modo naturale, il nuovo rock impara presto a convivere tra generi diversi, spesso agli antipodi per tradizione, pianeti immaginari che si completano. Insomma una forma di crossover prima del crossover che trova spazio e attuazione nei rapporti tra folk tradizionale, contaminazioni col jazz e persino con la musica classica, tutti morbosamente intrecciati all’unisono per dichiarare al mondo la fine delle convenzioni. La musica totale, senza barriere limitanti, che tanto piace a tutti diventa una fuga in avanti che imploderà al primo colpo di maglio sferrato dal punk, rimettendo tutto al proprio posto. Ma prima della fine sarà strage immane di cuori disincantati sparsi in ogni angolo d’Europa con risultati deludenti per tutti. Una fine ingloriosa per certi versi prevedibile.

 In questo clima agli inizi dei settanta i Ten Years After pubblicano il loro album più famoso e venduto di sempre : Crickelewood Green, grazie al quale la loro popolarità schizza alle stelle, anche per merito dell’album precedente, Ssssh, che alla immediatezza del suono affianca un retrogusto pop che non spezza gli equilibri. Un suono nuovo che fa presa sull’uso massiccio della chitarra solista di Alvin Lee. Sono momenti decisivi per l'affermazione del rock blues. Woodstock ha cambiato la visione del rock. Ciascun gruppo lotta per occupare un posto di vertice in questo nuovo contesto (Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, etc.). Con il risultato che d'ora tutto diventa più spettacolare e la musica avrà una nuova anima da mostrare, molto più diretta rispetto al passato. La lezione americana ha ottenuto i suoi effetti benefici.

I Ten Years After provengono da Nottingham e approdano a Londra nel 1967, in quel momento la capitale delle meraviglie psichedeliche ma anche la città che accoglie tutto il respiro delle tante avanguardie sparse in tutta l’Inghilterra per trasformarle in progetti concreti. Nel luogo dove tutto è spendibile vengono assunti alla Deram, e affidati a Mike Vernon, una celebrità nell’ambiente blues. Oltre ad Alvin Lee vi sono il tastierista Chuck Churchill, il bassista Leo Lyon e il batterista Ric Lee, nessuna parentela con Alvin. Non sono i soli a cercare visibilità. In quel momento la British Blues ha ottimi comprimari e una scena molto vivace e creativa. Sono tutti impegnati ad assicurarsi un posto nel parco della celebrità : Groundhogs, i Fleetwood Mac di Peter GreenSavoy BrownChichen Shack e tanti altri nomi minori, gruppi che li unisce la comune radice del blues, spesso riconducibile al genio paternale di John Mayall, vero punto di coagulo di tutta il movimento blues londinese. Alvin Lee ne è distaccato perché il suo blues proviene direttamente dal delta, quello sanguigno e verace che si trasforma in jam e non accetta compromessi. Almeno nel primo disco eponimo del 1967 l’idea fondante è rispettata. Un blues scolastico a tratti persino ingenuo fa capolino tra i solchi dell’opera. Un debutto simile a molti altri. Vernon ha fatto un buon lavoro anzi è persino riuscito a far emergere delle potenzialità sconosciute, che verranno meglio focalizzate nel secondo disco (Undead), registrato live al Klooks Kleek dove fa capolino per la prima volta I’m Going Home, che ha due versioni differenti tanto su album che su singolo. Il brano che porterà loro fortuna e farà da apripista alla loro luminosa carriera almeno sino al 1975, quando, svuotati di ogni energia, metteranno fine al loro progetto.


Alvin Lee scomparirà nel 2013 all'età di 68 nella città in cui è nato, Nottingham.

 

Luigi Ciavarella