Nicola Maria Spagnoli
Roma, domenica 18 settembre 2016 - Un album doppiamente interessante quello che l’etno-musicologo Benedetto Vecchio ci propone con il suo gruppo, i Musicisti Basso Lazio, alla settima uscita discografica, interessante e valido sia dal punto di vista sociale che musicale, un seguito quindi dell’ugualmente sanguigno Terra di Fuoco qui recensito qualche anno fa, dopo l’intervallo pastorale di Concerto per il Presepe.
Per quanto riguarda il primo aspetto, molto ben sottolineato dall’introduzione di Pino Aprile sul Cd, c’è da dire innanzitutto che trattasi di un lavoro “che guarda al passato per spiegare il disagio dei giovani di oggi mostrando che c’è un filo logico che porta fin qui da allora: quell’ingiustizia che il lato adoscente del cantastorie ciociaro-sannita non è capace di accettare”. Questo disagio è evidenziato molto bene, ad esempio, in Canto pe’ la gioventù e soprattutto nella canzone che dà il titolo all’album che nel finale auspica un ritorno di Masaniello contro le ingiustizie di questa società comprese, come alcuni rapper già hanno fatto, l’aspetto esattoriale triplicato (evidentemente riferito ad Equitalia!).
Nell’originale incipit medievaleggiante di Tarantella numerata si parla di padroni, cassintegrati e giustamente si auspica “nu Quarantotto” con un’ironia (tutt a te e niente a me!) e naturalmente un’incazzatura e una rabbia (de lu popolo affamate) che non sentivamo dai tempi degli Stormy Six. Denuncie sociali certo che non vengono esasperate musicalmente e sintatticamente come negli Assalti frontali ma inquadrate tutte, giustamente, nella loro tradizione, quella folkloristica dell’Italia del Sud ovvero nella tarantella anche se con venature prog.
Venature ben visibili negli assoli di flauto dei pluristrumentisti Marco Lamele e Giuliano Campoli e in certe pizzicate pseudo classicheggianti come nel finale della prima traccia o nel breve Speranza, un dolce ed intenso strumentale di Gennaro del Prete. I brani si susseguono tutti incalzanti e orecchiabili e la voce di Benedetto, a volte usata in maniera sincopata e originalissima (Come na’ rosa) è sempre dominante sul tappeto sonoro fornito da basso, contrabbasso e batteria su cui ricami di chitarra, a volte celtica, e ciaramelle natalizie forniscono il validissimo supporto. L’attacco della suggestiva Nott’ d’ luna fa tornare alle mente Bartoli/Tazenda anche se il testo si riferisce al secondo aspetto dominante del lavoro, quello storico e politico, ovvero all’occupazione sanguinaria e tragica da parte dei piemontesi del nostro Meridione nelle cosiddetta Guerra d’Indipendenza.
E questo aspetto viene viepiù sottolineato nel commovente ricordo della partigiana/brigantessa Michela di Cesare (Michelina), eroina nonché martire, per di più oltraggiata appunto dai barbari occupanti savoiardi: e questo la Storia ufficiale ancora tarda a riconoscerlo! Sia in questo brano che in quello successivo La radeca, che tratta di altri orrori e occupazioni subite dal popolo frusinate come quello dell’esercito francese napoleonico, Vecchio ci racconta quindi di libertà e di riscatto, stavolta anche con ironia, accompagnato dalla brava Paola Fontana, una voce che non può non ricordare quella di Fausta Vetere. Suggestivo il paragone Indiani d’America-Briganti in Pizzabrigante e simpatica l’ironica copertina dipinta.
Nicola Maria Spagnoli