di Luigi Ciavarella
San Marco in Lamis, sabato 28 marzo 2015 - Un infarto si è portato via ieri, all’età di 70 anni, John Renbourn, chitarrista formidabile nel campo del folk jazz inglese, noto soprattutto per aver dato vita, insieme a Bert Jansch, un altro grande virtuoso della chitarra folk, scomparso anch’egli nel 2011, la cantante Jacqui McShee, il contrabbassista Danny Thompson e il batterista Terry Cox, ai Pentangle sicuramente insieme ai Fairport Convention, il più grande gruppo inglese di tendenza folk jazz.
Le sue origini musicali risalgono agli inizi dei sessanta in una Londra che si sta preparando a diventare punto di coagulo delle diverse tendenze musicali e artistiche che stanno interessando l’intera nazione in un contesto di grande aspettativa per il futuro della musica inglese. Si occupa presto di folk tradizionale anche se il suo primo disco uscito nel 1966 è infarcito di brani provenienti dal repertorio dei classici blues americani, ( Muddy Waters, Blind Boy Fuller, ecc… ) come d’altra parte era d’uso in quel periodo. L’incontro con Bert Jansch prima, nei primi anni sessanta, e Jacqui McShee poi, indirizzano il grande chitarrista verso il folk provando già da subito a contaminare il genere con virtuosismi jazz e blues, che saranno il marchio di riconoscimento della sua musica.
La nascita dei Pentangle, avvenuta nel 1968 con la pubblicazione del primo album, cambia i progetti del chitarrista poiché il gruppo britannico si impone subito come uno dei maggiori riferimenti di contaminazione tra folk, jazz e blues di livello altissimo essendo i musicisti tutti provenienti da scene musicali diverse, uniti dal collante della passione per la ricerca, che sarà per tutta la durata della loro vita artistica, attraverso cinque anni di ininterrotta evoluzione stilistica, la cifra entro cui verrà ricordata la loro musica. Una discografia formata di sei album, preziosi e fondamentali, che parte dal primo omonimo debutto del 1968, come accennavo prima, per concludersi con Solomon’s Seal nel 1972, inglobando autentici capolavori come per esempio il secondo Sweet Child, che cita Mingus e la ballata tradizionale britannica in un rapporto naturale di sintesi che si innesta nel flusso della dialettica che sta interessando in quegli anni la musica rock inglese. Meglio faranno con Cruel Sister nel 1970, l’album che meglio identifica il loro stile fatto di stupende ballate e virtuosismi deliziosi, con la voce della McShee che raggiunge vette inarrivabili. Prima però c’era stato Basket of Light, il lavoro che aveva dato al gruppo la necessaria visibilità, fatto di brani che ottennero un certo successo e che servì a dare slancio alla loro carriera, che nei successivi Reflection e Solomon’ Seal sarà più evidente.
Dopo la fine del gruppo ( che verrà riesumato da Jacqui McShee, tuttora in attività live sui palchi britannici ed europei ), John Renbourn riprenderà la sua carriera solistica, che peraltro, nonostante gli impegni con i Pentangle, non aveva mai abbandonato, con album di grande spessore artistico come The Lady & the Unicorn del 1970, ( bello anche Faro Annie, più personale ) da tutti considerato come il capolavoro massimo dell’artista londinese, facendo seguire una discografia regolare e proseguita sino ai giorni nostri, puntellata di collaborazioni importanti ( con Stephan Grossman per esempio, Van Morrison, ecc.. ) e di studi di ricerca delle radici tradizionali della sua terra.
Luigi Ciavarella