Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, venerdì 19 gennaio 2024 - Concluse le festività natalizie e quelle di fine ed inizio anno ad esse collegate, ora anche la scuola “Don Bosco” di Rignano Garganico (sezione distaccata dell’IC. Rignano – Balilla – Compagnone di San Marco in Lamis) è intenzionata a proseguire il suo cammino educativo attingendo alle tradizioni ed eventi in programma nel corso 2024. Tra l’altro, il Carnevale, occasione, quest’ultima, non solo di maschere e sfilate, ma anche di detti, “strapulette” e recite dialettali di stile prettamente popolari e legate alla tradizione.
Non a caso quello dello spettacolo in piazza, specie durante il Carnevale nei tempi passati era una esigenza assai avvertita, e praticata dalla popolazione, ma che ora rischia di scomparire del tutto per colpa della crisi e del decremento demografico. Fenomeno, quest’ultimo, che avanza inesorabilmente, qui ed altrove. per via della diminuzione delle nascite e dell’emigrazione giovanile. Infatti, la stessa è giunta ormai al 100% per l’assenza totale di ire lavoro e di prospettive. Non resta ora a chi rimane che la nostalgia e il ricordo del passato, quando il Carnevale alla pari delle altre festività religiose e profane era osannata ed esercitata non solo dai ragazzi, ma anche dagli adulti.
Fino agli anni ’70, di iniziative ce n’erano tante, a cominciare dal “mascheramento” che invogliava l’intera comunità. C’era chi indossava i vestiti delle nonne e bisnonne, detto “pacchiana”, chi il pastrano (cappotto lungo), il mantello, il “tight” o frac , detto “sciammèreche” con cappello a cilindro degli antenati. Altri, invece, si accontentavano del costume popolano : camicione grezzo a quadri, pantalone di fustagno, farsetto e “fazzolettone” di diverso colore e l’immancabile “coppola”. Talvolta, si faceva a gara tra quartieri tra chi vestiva meglio e di più. La maschera visiva era costituita per lo più da un pezzo di panno nero con occhiaie, che si legava dietro alla nuca con lacciolo. Quelle di carta – pesta faranno capolino in seguito, indossate soprattutto dagli scolari e più recentemente in plastica dura e morbida.
Come accennato erano in voga i cosiddetti “ditte”, ossia le recite, estrapolate spesso dalla ricca letteratura nazionale sul tema, sapientemente adattata al tempo e al luogo da valenti ed improvvisati registi. Si ricorda, ancora in paese, Nicola Gravina, organizzatore di prim’ordine. Non sbagliava mai una scena o dialogo che sia, perché amava conservare per iscritto il patrimonio, forse raccolto per via di storia orale dalle precedenti generazioni, in quaderni ben tenuti e custoditi in casa. Gli stessi, dopo la morte di lui, furono conservati gelosamente dai loro famigliari, che finora ne hanno impedito la pubblicazione e, quindi, la diffusione della loro memoria.
Una “pecca”, la stessa, già rimediata da chi scrive, avendo raccolto e curato un opuscolo sul tema, pronto ad andare in stampa. Al contrario sempre sull’argomento c’è una commedia dialettale dal titolo “Lu Capetone”, contenuto nel v. “Natale tra ieri ed oggi”, edito nel 2000, a cura della Regione Puglia e del medesimo plesso ”San Giovanni Bosco”, facente parte del comprensivo “Balilla – Compagnone” di San Marco in L., guidato negli anni più recenti con spirito innovativo ed impegno dalla dirigente Antonella Nunzia Basile . Ragione per cui molto di più è stato fatto a scuola in conseguenza del suo interesse educativo che prescinde, da quello che si fa o non si fa in piazza, con l’apprendimento e la messa in scena delle “maschere” nazionali: Pulcinella, Arlecchino, Colombina, Pantalone, ecc.
Si ricorda negli anni’60 di un “regista”, che, non essendosi organizzato alcunché quell’anno in paese, radunò in piazza Gargano un nutrito gruppo di adolescenti, desiderosi di “fare festa”; fece loro rivoltare le giacche all’inverso e poi rindossarle. Quindi, provvisti di strumenti musicali rimediati alla meglio, come coperchi da cucina, lavatoio di legno e mazza, chitarra, mandolino e flauto, si faceva un gran baccano in piazza e nelle strade adiacenti, salutati dalla gente con ilarità. Qualche anno fa anno addietro fu l’associazione ex-Vigili del Fuoco in congedo a riproporre l’iniziativa e la comunità, anche se per poco, respirò aria di festa.
Ora, invece, è tutto silenzio e nessuno si sogna più, come facevano un tempo Giovanni Gentile (“Pezzecatidde”) e famiglia, annunciando ogni festa con allegria al suon della fisarmonica o altro strumento tradizionale. Che dire, poi, di zio Michelino “Cuch’ticchij’”, sempre sorridente e pronto a sciorinare ad ogni pie’sospinto la sua “strapulètte” quotidiana ai ragazzi. Ecco perché, la conoscenza del passato e le tradizioni locali hanno il loro giusto peso nella formazione educativa e culturale delle nuove generazioni.