Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, mercoledì 17 agosto 2016 -  L’altro giorno nella ricorrenza del festa del santo patrono, San Rocco, Matteo Viola, l’emigrante che tornava ogni anno in paese per “respirare l’aria del luogo natio” ed assaporare nel contempo i ricordi mai sopiti dell sua adolescenza, se n’è tornato al padre, lasciando il paese attonito. Qui l’uomo era molto conosciuto ed amato da tutti per via della sua semplicità ed affabilità. Seppure risiedeva per poco più di un mese, contribuiva e condivideva le gioie e i dolori della collettività.

 Anche quest’anno ha elargito con generosità il suo contributo per la “festa”, ma non si era seduto come le altre volte in vista assieme alla moglie Louiselle per assistere al concerto serale. Tutti se ne sono accorti ed erano rimasti sopresi. Verso la mezzanotte è venuto meno senza un lamento e la notizia in un lampo si è diffusa in tutto il paese, che ha pianto. Ora il suo corpo ritorna in Francia per essere seppellito nel paese, dove vive e lavora il resto della famiglia. Non diciamo di più, perché il resto è contenuto nel racconto che segue, tratto dal volume di Angelo ed Antonio Del Vecchio Dal paese al mondo / Storie di vita di emigrati di Rignano Garganico,  edito da Araiani nel 2006, pp. 74-76).   <<Avevo 17 anni, quando sono aprtito come emigrante con destinazione Francia. Ricordo perfino la data: era il 10 gennaio 1959. Non avevo soldi per far fronte alle spese impreviste, né per pagare il biglietto del pulman fino a Foggia. Per cui la sera prima mi sono fatto prestare 400 lire dalla ditta Fiore, l’unica del paese che mi aveva assicurato fino allora un posticino in cantiere, come apprendista muratore. Io ho lavorato subito dopo aver conseguito la licenza elementare.

In paese mi portavano tutti come esempio. La famiglia era numerosa e povera. Per cui dovevo aiutare anch’io, per non farle mancare il pane. Erano tempi tristi allora! In Francia da un anno e mezzo c’era già mio fratello Nicola. Una sorella sposata emigrò invece in Germania, dove risiede tuttora in attesa della pensione. Ho raggiunto in treno Milano(il biglietto fino in Francia me l’aveva precedentemente pagato la ditta che mi aveva chiamato tramite l’ufficio di collocamento). Nel capoluogo lombardo rimasi tre giorni per la visita medica. Fatto idoneo insieme a tanti altri cercatori di lavoro prendemmo il treno per Parigi, guidati da un fiduciario francese. Arrivati nella capitale, gli altri furono presi in consegna di rappresentanti delle varie ditte, mentre io fui prelevato dallo stesso titolare.  Con la sua macchina, una Citroen decapotabile di due cavalli, raggiungemmo Etampes e fui sistemato in una baraccopoli, dove stavano gli operai del cantiere, quasi tutti arabi. C’era tanta neve! Pertanto, fui avviato al lavoro solo il mese successivo. Non conoscevo affatto la lingua francese, né avevo speranza di imparare subito qualche parola, perché con me c’era solo madodopera straniera.

Provai la solitudine come non mai. Solo un mese dopo ho incontrato un otaliano, un tizio di Manfredonia, che mi mise subito alla via con i suoi consigli e mettendomi a disposizione tutta la sua esperienza di emigrante. Dopo cinque mesi lasciai la ditta ed andai a lacorare da Capra, un’impresa italo – francese, che stava costruendo palazzi nel quartiere parigino di Saint – Cloud. Dopo un anno fui mandato a Brie – Comte – Robert, a 40 chilometri dalla capitale. E poi, dopo un anno e mezzo ancora, a Melun. Intanto m’ero comprato un motorino, col quale giravo in ogni dove per Melun. Un giorno ho incontrato mio fratello Giuseppe, che qui viveva da oltre un anno e mezzo. Ci abbracciammo e mi portò a casa sua (lui era già sposato), dove mi sistemai, lasciando per sempre la baraccopoli. Fui tanto felice di vivere con lui. Tutte le sere andavo a ballare e mi divertivo moltissimo. Avevo imparato nel frattempo a parlare discretamente il francese. E questo mi aiutava moltissimo a comunicare con le ragazze del posto. In una delle sale da ballo da me frequentate incontrai la donna della mia vita, Louise Contillon. Fu un amore, coem si dice, a prima vista. Dopo un anno di fidanzamento ci sposammo.

Negli anni successivi dopo il primogenito Rocco nacquerono, a distanza di un anno l’una dall’altra, le mie figlie Cristina e Florence. Avevo cambiato nuovamente ditta. Si tratta della Société Barbilonese, con la quale lavorai appena sei mesi. Quindi, avendo un bel gruzzolo da parte, con l’aiuto di mia moglie, mi misi su anch’io una piccola ditta e presi dei lavori in economia. Al mio cantiere lavoravano circa una ventina di muratori, quasi sempre franceso. Guadagnavo bene. Con questi soldi, mi sono costruita una bella villetta, provvista di ogni comfort. Negli anni successivi ne costruii altre per i miei figli ed acquistai un appartamento nuovo a Rignano, dove sono venuto ogni anno per trascorrere le mie vacanze. A questo appuntamento non sono mai mancati mia moglie Louise e le figlie fino a quando sono diventate adulte. Nel 1985, il 10 settembre, accadde una grande disgrazia in famiglia: in un grave incidente sul lavoro perì mio fratello Nicola. Un evento che ha sconvolto per sempre la mia vita. Ogni volta che ci penso, rabbrividisco.

Ecco che cosa è l’emigrazione, talvolta non solo si soffre ogni angustia, la lontananza dalla propria terra e dalle persone care, ma ci si rimette anche la pelle. D’allora non fui più io. Continuai a lavorare fino al 1996. Poi mi ammalai ed abbandonai tutto. Ora vorrei vivere per sempre nelmio paese e respirare l’aria che ho sempre desiderato. Ma posso stare solo per qualche mese. Là stanno i miei figli e i nipoti>>. Addio Matteo, non ti dimenticheremo mai! La presente testata partecipa al dolore delal famiglia e dell’interà comunità rignanese.