Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico – lunedì 25 aprile 2016 - Ragazzi salvati dai soldati tedeschi in fuga, a Rignano Garganico. Ecco il racconto. <<Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e lo sbarco degli anglo - americani in Sicilia, i tedeschi si ritirano man mano dal Sud Italia per rafforzare la cosiddetta linea gotica. Sono a corto di viveri e di rifornimenti. Pertanto, risalendo lo Stivale (talvolta come veri e propri sbandati), lasciano là, dove passano le loro orme malefiche in termini di razzìe per l’approvvigionamento. Prendono tutto a danno delle popolazioni già stremate per l’assenza di forti braccia da qualche tempo impiegate sui fronti di guerra.
La popolazione rimasta (anziani, donne e bambini) fanno fatica a curare i campi e gli allevamenti. C’è, soprattutto, tanta paura a causa dei bombardamenti ripetuti da parte delle forze alleate. Quel poco che riescono a produrre e a stipare momentaneamente viene ben nascosto in fosse sapientemente occultate o nei nascondigli murati delle case. La “riserva”, oculatamente amministrata, a mala pena riesce a soddisfare quotidianamente la famiglia. Sono i nonni o le mamme a gestire i generi di prima necessità come la farina, i legumi e le altre graminacee. A sopperire il bisogno di proteine ci sono le galline, cresciute nella gabbiola posta accanto all’uscio di casa, e qualche altro animale domestico di piccola taglia (pecora, capra o maiale), spesso tenuto in casa per timore di furto. Tale era la situazione a Rignano.“Un certo giorno i tedeschi arrivarono anche qui!” - racconta Vincenzo Cella. Nel primo pomeriggio furono avvistati al Talafone, antica stazione semaforica posta sulla rotabile per San Marco in Lamis. Erano in due! Scesi dalle rispettive moto, stavano bivaccando sul ciglio della strada e non si sapeva il perché. Forse uno dei due mezzi era guasto o sostavano per riflettere circa il da farsi. Non visto, li aveva scorti un contadino che coltivava lì da presso. L’uomo, impaurito, aveva abbandonato i suoi attrezzi di lavoro e attraverso scorciatoie a lui note aveva raggiunto in pochi minuti le prime case del paese per raccontare la “nuova”. In un baleno la notizia raggiunse ogni angolo di Rignano.
Allora le “camicie nere” locali e le altre autorità si misero d’accordo sul modo e sul come evitare alla popolazione eventuali violenze da parte dei militari tedeschi. Lo zio Giuseppe ricevette l’incarico di tutelare i ragazzi e subito li radunò tutti in Largo Piscine (ora Via Manzoni). Qui c’era una cisterna vuota piuttosto spaziosa e profonda circa cinque metri. Ma come si fa a scendere? Aiutato da altri, da un ponteggio posto nelle vicinanze sfilò un lungo e robusto tavolone, largo una cinquantina di cm. Quindi inchiodò trasversalmente tante altre piccole tavole fino a formare rudimentali scalini. Poi calò l’aggeggio nell’ipogeo. La rudimentale scala si rivelò adatta all’uopo. Con l’aiuto di una fune i piccoli presero a scendere, ad uno ad uno. Per ultimi si calarono pure Vincenzo e il nostro Leonardo. Ma giù non c’era più posto! Restarono, allora, aggrappati alla scala. Vincenzo, sistemato più in alto, di tanto in tanto alzava il legno posto a coperchio per sbirciare fuori e capire quello che stava accadendo. Arrivarono i tedeschi, salutarono le “camicie nere”, uniche persone accorse ad accoglierli. La popolazione si era dileguata. A Rignano regnava sovrano il silenzio, interrotto di tanto in tanto dai latrati di un cane. I soldati, dopo un innocuo giro per le vie del paese ed una breve sosta sulla ripa, forse perché colpiti dallo straordinario panorama ripresero a percorrere la renosa strada che menava a San Marco. Dopo di questa, non si sono avute altre sgradite visite a Rignano. I ragazzi uscirono ordinatamente dalla cisterna. Vincenzo e Leonardo si strinsero fortemente allo zio Giuseppe, contenti e felici di avere un congiunto così coraggioso e in gamba. Senza il suo decisivo apporto forse la “cosa” poteva prendere altra piega!>>.
N.B. Racconto tratto dal v. “Don Leonardo Cella, dal paese al MondoSalesiano” di Antonio Del Vecchio, Roma, Maritato Group, 2012, pp. 84 - 86