Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, martedì 22 marzo 2016 -  C'erano una volta... le fracchie anche a Rignano Garganico che illuminavano, come nella vicina San Marco, il tragitto alla processione serale del Venerdì Santo. Un uso, di cui si ignora l'origine, ma che resiste, per oltre un cinquantennio, fino agli anni '70 del millennio appena trascorso. Lo abbiamo appurato e ricostruito attraverso la storia orale, una storia di vita che coincide con quella di una sola famiglia di artigiani - fracchiari. 

 Si tratta dei Gentile, in particolare del capo-famiglia Giovanni (nato a Rignano il 20/04/1895 ed ivi deceduto il 12/11/1987 alla veneranda età di 92 anni), che ne è l'inventore e l'animatore principale. Con lui collaborano, nella raccolta della legna e nella costruzione delle fracchie, la moglie, Leonarda Viola (classe 1898), i figli Donato (1922), Paolo (1931), Matteo (1935) e Michele (1938), il primo e l'ultimo scomparsi di recente. La prima fracchia fa capolino in paese, secondo alcuni anziani testimoni, qualche anno prima della Grande Guerra. L'ispirazione trae origine certamente dalla vicina San Marco, dove la tradizione del fuoco sacro è plurisecolare, ma l'adattamento e la fattura sono tipicamente del posto. La diversità del manufatto rignanese, rispetto a quello sammarchese, consiste nella minore grandenza (massimo due quintali), nel numero ridotto (massimo quattro) e soprattutto nel trasporto manuale delle fracchie.

Il tutto dipende da un fattore logistico: il percorso della processione, che ricade quasi del tutto nel centro storico di origine medievale. Infatti, la processione era costretta , e lo è tuttora, a sfilare lungo la cosiddetta Via Processionale, costituita da una sequenza di strade strette e tortuose, larghe al massimo due o tre metri. Anzi, in alcuni tratti , lo è di meno e si è costretti a malapena a procedere a coppie. Ecco la realizzazione della fracchia, che ha forma semiconica. Si costruisce dapprima l'involucro, che è costituito da una base in lamiera di forma circolare ( cm 80-100), seguita in alto, distanziati l'uno dall'altro, da due o più cerchi in ferro di perimetro superiore, collegati a loro volta tra di loro da una serie di paletti verticali (solitamente di legno verde) di uguale grandezza (massimo cm 170) disposti in senso circolare e fermati con filo di ferro ai suddetti cerchi. All'interno si stipa, sempre nello stesso senso, quanta più legna secca possibile.

Ai lati delle fracchie si mettono due aste robuste per il trasporto a spalla o a mano da parte di quattro baldi conducenti. Il resto dell'illuminazione è formato da piccole torce di forma conica incuneati in un tronco, anch'esse di minore entità rispetto a quelle sammarchesi. Le stesse vengono sono singolarmente trasportate a spalle da giovani e da ragazzi. La tradizione delle fracchie si estingue, come si è accennato inizialmente, attorno agli anni '70, in conseguenza dell'introduzione del rito liturgico pasquale, che insieme all'abolizione della messa e di altre funzioni in lingua latina, ha visto pure morire tantissime e commoventi manifestazioni di religiosità popolare, come per esempio la caduta del lenzuolo bianco davanti all'altare al momento della Resurrezione, ecc..

Di tutto questo soffrì molto Giovanni, che era un animatore nato e capace di far piacere al prossimo in questa e in altre feste comandate, comprese quelle profane. Tutti lo ricordano, quando egli con l'organetto o la fisarmonica e il suo inseparabile amico Pietro Masullo con il triangolo o il mandolino, suonavano per le strade, c'era un appuntamento festoso o triste da commemorare: l'annuncio del Carnevale a Sant'Antonio Abate, l'"anima dei morti", ad Ognissanti e così via. Quella delle fracchie – come si accennava, è una tradizione estremamente viva e migliora di anno in anno a San Marco in Lamis. Lo è per il radicato attaccamento del popolo alla fede e devozione per la Madonna dell’Addolorata,il cui cammino processionale del Venerdì Santo alla ricerca di Gesù Morto era ed è ancora illuminato dalle fiamme zampillanti delle fracchie, a forma di giganteschi coni, trascinati per la vie principali della città su carri trascinati da baldi giovani in costume tradizionali. Sono di varie peso e misura da uno a quindici quintali.

Tale rito ed usanza è nota ed ammirata in tutto il mondo e rappresenta un po’ il simbolo della città al pari di quello comunale, che è appunto il leone rampante del Santo Evangelista veneziano.