Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, martedì 24 febbraio 2015 - Pesto avranno inizio i lavori di ricostruzione ex-novo del Ponte “Piccirilli” sul Candelaro in territorio di Rignano Garganico, compresa l’arteria comunale di attraversamento S.P. Pedegarganica e S.P. n. 23. Arteria, quest’ultima, costellata a dritta e a manca da innumerevoli masserie e poderi ex-Riforma Fondiaria. A renderlo noto è Giosuè Del Vecchio, giovane ed attivo assessore ai Lavori Pubblici del Comune che, assieme al sindaco Vito Di Carlo, al vice Michele Ciavarella e agli altri componenti la giunta si erano spesi parecchio durante l’ultima alluvione. Tanto da richiamare sul posto l’intero gotha istituzionale: il governatore della Puglia Vendola, il Ministro dell’Agricoltura Martina e lo stesso Capo del Governo Renzi.
Dopo opportuna gara, la predetta opera è stata finalmente appaltata. Costerà all’erario 4 milioni 570 mila euro. A questi si devono aggiungere altri cinquecento mila, stanziati e destinati sin dall’inizio alle altre strutture similari malmesse dalle acque. “Un ringraziamento particolare – ci dice l’assessore Del Vecchio - va all’assessore regionale Leo Di Gioia – che ci è stato vicino in ogni frangente, dimostrando di tenere molto a cuore i problemi della Capitanata”. L’intervento viene definito “storico”, perché dovrebbe risolvere una volta per sempre l’annosa questione dello straripamento del Candelaro, dovuto all’innesto ed immissione in esso dell’affluente Triolo. L’evento alluvionale si ripete, infatti, pari pari non si sa da quando tempo. La data più antica a portata di mano risale a circa un secolo e mezzo fa.
Ecco la descrizione che ne fa in proposito Giulio Ricci nel suo romanzo ultra-verista Rosedda (ispirato a luoghi, personaggi e fatti realmente accaduti), San Severo, 1989: “…La nebbia era sparita scoprendo il Candelaro ingigantito, fatto mostruoso da una piena spaventevole. L’acqua scendendo dai monti come da tante immense cascate aveva portata una quantità di terra rossa, tronchi d’alberi divelti, fascine di rovi e di rami che correvano in una confusione strana, multiforme, verso il mare. La piena era arrivata all’altezza del ponte contro cui le onde si incalzavano affrettandosi e si rompevano turbinosamente. Dall’altro braccio del fiume, quello che veniva dalle giogaie di sud (nrd Triolo) la corrente era bianca, le due acque s’incontravano sotto le arcate, si mischiavano, si confondevano in un color terrigno e poi insieme col rumore di una locomotiva che corre, via sempre incalzandosi, sempre inseguendosi.
Pippaccio che aveva finita la terra da nord a sud e che ora pigliava da est ad ovest, fermò i buoi meravigliato dello spettacolo imponente che offriva il fiume, il quale si allargava sulla tenuta di Villanova, si stringeva più su alle Grotti e si espandeva in un lago immenso alla Marana. Stuoli di papere, chiamate dall’acqua, l’una dietro l’altra in una fila lunghissima passavano con volo maestoso, tranquillo rompendo il silenzio dell’aria con gridi rauchi come soffi angosciosi di disperazione. Maso si fermò una seconda volta in mezzo alla terra quando vide al di là del ponte una squadra di contadini che dovevano passare, armati di zappa dagli stili lunghissimi. Osservò un momento poi allorché si accorse che i primi tastavano il terreno, temendo una disgrazia gridò: -Tornate indietro, il fiume è cattivo. Essi fissarono quell’uomo con occhi spaventati e continuarono. –Tornate indietro, il fiume è cattivo, tornate indietro la corrente è grossa. Un urlo formidabile rispose dal ponte: - Non abbiamo pane, sentiamo fame.
E con i calzoni tirati fino alle brache guardavano l’acqua fredda che correva. La rigidità dell’aria faceva loro battere i denti, le mani che dirigevano gli stili delle zappe tremavano; ma essi avevano fame, essi stavano con lo stomaco vuoto da ventiquattro ore. La corrente scendeva turbinosamente, Maso spaventato insisteva. –Attenti, attenti, più a sinistra; e faceva segno con il braccio disteso. Diritti, diritti, non pigliate il fossato, annegherete tutti, annegherete madonna santissima. I contadini erano già nell’acqua, l’uno dietro al’altro con le gambe vacillanti. Si avanzavano spingendo le zappe innanzi, si contorcevano ad ogni ondata, si fernavano. Poi uno sguardo nel fiume ed un altro al braccio di Maso, il quale urlava automaticamente preso dal terrore. Sul ciglione, sul ciglione. L’ultimo è caduto…fermatevi…aiutatelo. . Un cavallo! Risposero gli infelici, un cavallo…è tata Filomeno.
Maso lasciò il seminatoio staccò un cavallo dal primo aratro che incontrò, gli saltò in groppa e via di corsa. La corrente cominciava a travolgere tata Filomeno, il quale emetteva urli che si andavano mano mano spegnendo; il suo corpo lasciava un solco nero nell’acqua. Il seminatore giunse nel fiume dalla parte bassa del ponte, un luogo che egli conosceva benissimo e dove la corrente gorgogliava più forte. -Ahà! Ahà! Gridò alla bestia, ahà ahà!. L’acqua toccava la pancia del cavallo; egli si inginocchiò sul dorso tenendosi alla criniera. Tata Filomeno era giunto trascinato dalle onde alla sua altezza. -Coraggio, coraggio, attaccatevi alla coda. Il vecchio aprì le palpebre socchiuse. – Afferratevi alla coda, ripeté Maso, il cavallo è forte, presto. Tata Filomeno stese le mani e si attaccò alle natiche della bestia che rinculò un poco. -Aiuto! Disse rinvenendo. Maso lo sollevò per le ascelle. -Tenetevi stretto a me. Mormorò. Poi diede la voce all’animale e si avviò lentamente. Gli altri contadini bagnati erano scomparsi nella vicina fattoria…”.