Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, lunedì 29 febbraio 2016 - Avvicinandosi la Pasqua saltano in mente ai rignanesi di una certa età, vicini e lontani, ricordi, odori e sapori legati alla loro infanzia trascorsa in paese, allorché bastava qualche dolce fatto in casa per essere felici e contenti. Tra questi emerge soprattutto la “Squarcedde” con l’uovo sodo nella duplice forma di un grosso tarallo intrecciato o il canestrello con un intreccio più sottile, anch’esso terminante con un involucro contenente l’uovo sodo. Di solito il primo era appetito dalle femminucce, l’altro dai maschietti.
Questi ultimi, durante la veglia della Resurrezione, vestiti con l’abito nuovo, lo portavano appeso al braccio al seguito dei genitori. Ognuno se ne faceva vanto per via della misura e della fattura. Siccome la funzione era lunga, alcuni lo sbocconcellavano, partendo dal basso e nel giro di poco tempo l’uovo era ben mangiato e digerito. Altrettanto facevano le bambine, togliendo ad uno ad uno dapprima gli ornamenti zuccherini e quindi l’uovo. Allo scoccare della mezzanotte, succedeva, tra schiamazzi, implorazioni e il suono a distesa delle campane disciolte, la caduta del panno o lenzuolo che ricopriva la facciata al di sopra dell’Altare Maggiore adornata e pronta con il Gesù Risorto costellato di luci, fiori ed addobbi vari. Al termine della funzione, insomma, per tanti fanciulli il dolce era quasi tutto finito. Il resto lo si conservava in saccoccia per l’indomani che era Pasqua.
Della “Squarcedde” che una volta si preparava in casa non resta che il ricordo lontano. Infatti, con l’avvento dell’industrializzazione e del consumismo, di essa si è persa addirittura ogni traccia, preferendo i cittadini prodotti bel e fatti e i forni le mode e usanze esterne. Al fine di recuperare il tempo perduto, ecco la ricetta della squarcedde rignanese secondo l’antica tradizione. La stessa è stata estrapolata pari pari dal libro di Rosanna Ponziano, Torcinelli e violacciocche, Foggia, Bastogli, 2001, libro ormai esaurito che va assolutamente ristampato, se vogliamo per davvero conservare e tramandare alle nuove generazioni le genuine tradizioni e l’arte culinaria delle nostre genti.
<<Farina kg 1, zucchero g. 400, sei uova, 100 g scarsi di olio, o di sugna, g 15 di lievito di birra, un po’ di acqua. Mettete la farina a fontana sulla spianatoia, (se usate la sugna mescolatela, ammorbidita, alla farina). Rompete le uova, battetele leggermente con lo zucchero, aggiungendo il lievito sbriciolato e sciolto in una tazzina di acqua tiepida, l’olio e un po’ d’acqua. Impastate e lavorate bene fino ad ottenere una pasta liscia ed elastica. Formate un panetto e avvolgetelo nella pellicola di cellofan e lasciatelo lievitare per tutta la notte o comunque per dodici ore. Trascorso questo tempo, distaccate dal panetto un pezzo di pasta, stendetela con il mattarello a forma di disco, appoggiate su una metà l’uovo sodo e ripiegate su questa l’altra parte, facendo combaciare bene i bordi come si fa per il calzone.
Con un coltello o la rotella dentata incidete la parte ovale del bordo formando dei quadratini che ripiegherete alternativamente sulla pasta, in modo da formare una merlatura. Staccate ora un altro pezzo dal panetto e fate tre bastoncini abbastanza lunghi, devono formare il manico della “Squarcedde”. Intrecciateli e fermate questa treccia sui bordi laterali fissandoli bene con un quadratino di pasta lavorato a forma di cuore. Battete un tuorlo d’uovo con un po’ di latte e pennellate tutta la superficie del dolce, treccia compresa. Infornate a 180° per mezz’ora circa >>. La stessa cosa si fa per il “canestridde”, solo che i bastoncini di pasta da intrecciare vanno stesi molto sottili.