Redazione
San Marco in Lamis, venerdì 25 giugno 2021 - Torna a scriverci Alexis poeta sammarchese, queste le parole che scrive al nostro direttore per presentare il componimento: "Carissimo direttore ti mando quest’altro componimento scritto oggi stesso per quanto accaduto ieri, davanti casa mia situata a ridosso della chiesa dell’ Addolorata, dove sono nato e cresciuto sino alla giovane età, quando ci siamo trasferiti a Foggia. Casa che ho comprato l’anno scorso da mio fratello".
Sul sagrato dell’ Addolorata (Cronaca di un tempo che fu)
Le grida festanti e gioiose dei ragazzini che giocavano a calcio sul sagrato della chiesa dell’Addolorata rallegravano il mio animo: ero felice, stavo disteso, a casa mia, dopo sessant’anni d’assenza. E ricordavo quando, anch’io della stessa loro età, insieme a Giovanni Perilli, Peppino Arimatea, Tonino Cera, Michele Galante, Giggiotto, Angelo Stefanetti, Onofrio e Tonino di Mattia, Giuseppe Contessa, Nicolino Lombardi facevamo i tornei a tre o a quattro. C’era anche un altro giocatore, statico, fermo, immobile, sempre in campo, ma neutrale, serviva al giocatore abile a sfruttare la sua presenza come sponda: il primo gradino della scalinata di accesso in chiesa, all’epoca molto più piccola e stretta. D’un tratto il rumore del pallone sulla finestra mi ha destato dai bei ricordi lontani, sono uscito e uno di quei ragazzini mi ha detto” signo’, pigghja lu pallone”. Io, tutto contento, ignaro del colpo alla finestra, glielo mando calciandolo. Dopo un po’, il pallone colpiva di nuovo la finestra; sono uscito e un altro ragazzino, senza dirmi neppure una parola, aspettava che gli tirassi, il pallone: ormai, mi consideravano parte del divertimento, ero diventato il loro raccattapalle. Ancora un po’ e un’altra “ vetrinata” cominciavo a preoccuparmi di una eventuale rottura del vetro, così sono uscito e, col pallone in mano, sono sceso sul campo di gioco e con voce alta mi è venuto di dire “ uaggliu’, si non sapite juca’, jate allu campe sportive.” Quei ragazzini con la faccia incredula per la mia invasione rimasero zitti, ebbi così modo di continuare “e dope che ve site mparate a calcia’, putite meni’ a iuca’, pecche’ qua’ sope nuva jeme mmendate lu calcette e po’ jeme fatte vence lu sandemarche, quiste campe mereta rspette e me ne sono andato. Quei ragazzini un po’ scocciati per l’interruzione si sono guardati attoniti, e mentre me ne andavo sento dire “ ma che a’ ditte quiddu fregna, lu cannuscite “ ; mi ero quasi risentito e mi stavo fermando, poi di riflesso ho pensato che quel ragazzino aveva ragione. Ma io mi sentivo orgoglioso e pieno di soddisfazione per aver detto loro quelle parole che mi hanno reso felice, molto felice per essere tornato al tempo della mia fanciullezza, quando gioioso, spensierato giocavo davanti casa mia e per quei ricordi giovanili indelebili.