Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, martedì 25 maggio 2021 - Quando vidi per la prima volta questo gioco in un bar, non capii subito di cosa si trattasse. Anche perché un amico mi disse: “Andiamo a giocare a tennis “int la strada lu pont”. Io capii che dovevamo giocare a tennis per strada, in via Roma. Ma come si poteva giocare in quel posto se da lì passava gente di continuo? Poi, andando in quella strada, l’amico mi indicò il bar Europa. Entrammo e c’era tra il Juke-bok e alcuni flipper, questo gioco.

Partite di tennis virtuali, dove non c’erano giocatori in carne ed ossa, ma due linee azionate da due manopole, una per ogni concorrente, e una pallina quadrata. Il tutto si svolgeva su uno sfondo nero (il campo da tennis) e il bianco risaltava per le racchette e la pallina. Non c’erano rumori di fondo, ma solo un timido “toc”, quando la racchetta colpiva la palla. Alcuni esemplari di questo gioco erano presenti anche nelle abitazioni delle famiglie ricche. Ma si potevano contare quante persone potevano permettersi un videogioco del genere.

Giocando si provava una strana sensazione: non c’era il tifo di qualcuno, e nemmeno la forza di impegnarsi. Lo sforzo fisico era assente, e anche l’emozione non era granchè. Sembrava un gioco fatto per stare in silenzio. Un silenzio superiore a quello di Wimbledon, dove il silenzio fa parte del rito di questo torneo inglese, il più importante del mondo. Il silenzio di questo pin pong mette quasi ansia: non si aspettava altro che toccare la palla digitale con le racchette digitali. E quando si sentiva quel “toc” era come se il respiro continuasse a vivere.
 
Tra una “racchettata” e l’altra il tempo pareva sospeso, il campo da gioco che era nero, metteva quel senso di fondo, un profondo senso del gioco, come se si giocasse in un pozzo senza fine. E chi perdeva la partita, sembrava che venisse risucchiato dentro. Non c’era poesia in questo ping pong digitale. C’è da dire però che è stato una specie di “numero zero” per tutti i giochi elettronici che verranno. Da quello dei mostri che invadevano il nostro pianeta fino a quelli in 3D.
 
Qualcuno dice che questo gioco stia ritornando di moda, come il trillo del telefono di una volta messo come suoneria nei telefonini più avanzati. Forse abbiamo bisogno di un sano salto nel tempo, all’indietro. Per capire meglio quello che ci siamo persi e forse apprezzato poco e per poco tempo. Chissà se conviene andare ancora avanti, o fermarci e vivere quello che non abbiamo vissuto. Forse ci piacerà anche il “Ping-O-Tronic”, quello che a me, allora, non piacque per niente!!!
Mario Ciro Ciavarella Aurelio