Mario Ciro Ciavarella Aurelioi
San Marco in Lamis, venerdì 7 maggio 2021 - Una Via Crucis senza senso. Stazioni Dolorose infinite. Pause senza titoli per calmare il Dolore e per dare un significato a quelle stazioni intermedie, tra la vita e la morte di tanti che sono in fuga. Con corde attorcigliate intorno alle loro vite, senza vie d’uscita. Ma solo sofferenze e assurdità che finiscono in azioni da sempre presiedute dal genere umano. Stazioni laiche che ci fotografano la realtà dei fatti: senza retorica e teologia che possa dare un senso al di fuori della materia che ci circonda. Tutto in bianco e nero. C’è poco da colorare.
Quando gli uomini lasciano passaggi e itinerari che nulla aggiungono a quello che da sempre esiste: anzi, sottraggono sempre. Sembra una fame atavica che non ha mai fine. Anche se ci fosse la volontà di dare tonalità a gesti di “umana bellezza”, non ci si riuscirebbe a dare vite e speranza. A gente uccisa, massacrata, fatta morire di fame, bruciata viva… Non c’è verso… Mucchi di ossa che vengono accatastati dando una sembianza di tante Torri di Babele mute. Corpi buttati uno sull’altro con delle ruspe, con braccia e gambe che spesso penzolano dalla bocca del mezzo meccanico. Uomini e donne uccisi per rivalità tribali, come successe in Ruanda nel 1994, dove per poter morire con un colpo di pistola in fronte, si doveva pagare il proprio carnefice.
Altrimenti venivi ucciso con il machete: fatto a pezzi, rinchiuso in una scuola o in una chiesa. Quasi un milione di morti in meno di un anno, senza usare armi pesanti: ma solo asce, martelli, pugnali. L’ONU scappò: questi pezzi di merda che dovrebbero dare un ordine all’umanità, scapparono via i Berretti Blu. Lasciarono un’intera Nazione in balia di guerriglieri primordiali che uccisero i loro stessi fratelli. Caino e Abele che non hanno mai fine… Corpi nudi che si vestono di fango e sudore per cercare l’oro!! Una ricerca disperata che viene eseguita in tanti posti del pianeta, e spesso non hanno un nome: sulle carte geografiche non risultano terre ricche di oro. Ma esistono.
Uomini formiche che scalano montagne di fango su strette scale che non hanno mai fine. Non si sentono rumori di macchine e aggeggi meccanici generati dal progresso, ma solo un sottofondo creato da mani e piedi che cercano appigli di speranze. Ma con le parole di tutti i continenti. Provengono da bocche che hanno sempre fame: ed è per questo che sono lì. Non pensiate che in questi posti dannati da dio e rinnegati fin dal giorno della Creazione ci siano solo i disperati della Terra: ma c’è anche gente “normale”, insegnanti, operai, studenti.
Il sudore di queste genti cade su pioli di scale usate per raggiungere un dio che non esiste nelle Menti dei Pensatori. Un dio che non ha una sembianza precisa: ma solo un vago aspetto di un uomo che forse è nato, forse è morto, e forse a volte ci degna di uno sguardo. Se uno di questi uomini cade, traina verso il basso altre vite identiche alla sua: non c’è differenza tra i cercatori d’oro, vivono in una simbiosi che ricorda il lavoro fatto dalle carte copiative di una volta. Le cadute di questi uomini terminano all’inferno: quello terreno. Non riescono a sprofondare oltre. Non hanno la concezione di una pena eterna. Ma solo materia che soffre su altra materia. Corpi che soffrono sulla pietra.
I sacchi vengono riempiti soprattutto da fango, e pochissimo oro. Vengono caricati sulle spalle degli operai e portati ai loro datori di lavoro. Ben poco viene dato ai lavoratori: forse l’uno per cento di quello trovato nei sacchi. Un brusio di fondo che sembra la colonna di fondo di quando il Tutto scoppiò, e noi siamo qui. Di conseguenza. Centinaia di pozzi petroliferi dati alle fiamme, ormai la guerra è perduta: Kuwait 1991. L’esercito di Saddam Hussein è in ritirata e i militari in fuga bruciano tutto quello che possono, soprattutto pozzi strapieni di oro nero. Fumi neri. Lo stesso colore della disperazione, anche i beduini del deserto hanno lo stesso colore di quel fumo. Scappano dai militari “amici” e nemici. Portandosi dietro famiglie che non capiscono il perché di quel furore: americani contro orientali, e orientali contro tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Del loro stesso Paese.
Uomini contro. Pompieri che accorrono per spegnere incendi infernali, e cercano di difendersi dagli attacchi dei militari kuwaitiani. Il nero del fuoco e del fumo confonde ogni logica, non c’è verso di capire se la salvezza si trovi a destra o a sinistra. Intanto migliaia di disperati scappano non si sa dove. Ma cercano aria pulita: solo lì l’uomo ancora non arriva. Ancora. Per ora. Ma un giorno arriverà… “Il sale delle Terra” (2014) un film documentario a cura di Wim Wenders, racconta la straordinaria attività fotografica di Sebastião Salgado, fotografo brasiliano che ha impresso su pellicola, l’umanità così come la conosciamo noi negli ultimi cinquant’anni. Su migliaia di lastre. E lì rimarranno per sempre. Come monito. Come totem che incutono timore ai successivi passi degli uomini che verranno. Il sale che l’umanità ha disperso su questo pianeta, non ha aggiunto nessun sapore in più, rispetto ai tanti che già c’erano. Anzi, ha mescolato fin troppo, rovinando la Natura di Allora.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio