Francesca Stilla
San Marco in Lamis, lunedì 5 ottobre 2020 - La notizia della morte di Paolo Pinto mi ha profondamente addolorato . Ho avuto la fortuna di conoscere Paolo quando ero poco più che ventenne in una serata calda di agosto a Borgo Celano. Mi chiese, assieme ad Antonio Mastromauro, di entrare a fare parte dei “Fly” come cantante e corista.
Accettai di buon grado e iniziò un periodo bellissimo, durato due anni, fatto di musica e amicizia. Ogni sabato da Bari raggiungevo San Marco per le prove che si protraevano sino a tarda sera o almeno sino a quando il tempo di Paolo, la voce di Antonio, la batteria di Aldo e le note delle coriste diventavano una sola cosa, una sola voce, la sola musica possibile.
Paolo Pinto cercava il senso del tutto, la coralità ad ogni costo. Paolo conosceva bene la differenza tra “fare musica” ed “essere musica”. Di questo era maestro. Con pazienza e nel tempo mi ha insegnato il valore dell’attesa, come pausa cioè tra una nota e un’altra, del silenzio insomma. Mi ha indicato la via dell’ascolto come unica strada percorribile per la costruzione di una coralità in funzione del bello, dell’armonia.
Mi ha donato il valore della disciplina non fine a se stessa ma per la convivenza tra note diverse o istanze diverse. Il pezzo “Le roi soleil” con cui salutavano il pubblico era tutto questo e altro. Di certo non sarebbe piaciuto a chi parla sull’altro o vuol sentire solo la sua voce.Non dimenticherò mai Paolo Pinto, una bella persona, gentile come poche. A lui e alla sua famiglia va il mio affetto e la più sincera gratitudine.
Francesca Stilla