Luigi Ciavarella
San Marco in Lamis, lunedì 05 ottobre 2020 - Paolo Pinto non c'è più. Un malore improvviso ha privato ai familiari e a noi tutti, - gli amici di una vita -, di una persona generosa, affettuosa, affabile, gioviale, con cui abbiamo condiviso molti ricordi. Un distacco inaccettabile che ci coglie impreparati, impotenti di fronte ai misteri della vita. Oggi piango l'amico fraterno che ho conosciuto nel lontano 1972, quasi cinquantanni fa, quando le nostre strade si incontrarono un giorno nell'unico posto possibile:
tra strumenti musicali e l'idea di una band, gli Atomium, di fresca formazione, con il quale Paolo Pinto, chitarrista novello, cercava di dare una impronta precisa all'identità del gruppo che immaginava diversa dalle altre band di paese. Paolo Pinto è stato il chitarrista delle due anime: quella pop e l'altra rock, due diversi modi di concepire la musica. Quella pop, fatta di canzoni popolari adatte ad un pubblico eterogeneo, e quella rock invece, che lui sentiva come propria, che fu naturale imput alla sperimentazione e alla conoscenza.
Non a caso subito dopo darà corso, attraverso la nascita de Il Mosaico, appena qualche anno dopo gli Atomium, alla sua personale epopea sperimentale con suoni anziché canzoni che lasceranno un segno indelebile nella storia della musica del nostro paese. Ci lascerà anche un CD, molti anni dopo quella esperienza, dal titolo “Nella terra degli dei”, un saggio impeccabile della sua geniale arte compositiva, diventato adesso un testamento spirituale affidato al tempo. Il ciclo si era concluso non prima di aver esaurito anche l'esperienza pop degli anni ottanta e novanta con i Fly (ecco la duplice anima che affiora di nuovo). Ma Paolo Pinto fu un musicista principalmente di indole rock.
Ho un ricordo bellissimo dei primi tempi che adesso mi emoziona tantissimo testimoniarlo, fu quando gli fornii l'occasione per uscire, seppure momentaneamente, dall'asfittico mondo della canzonetta. Fu quando gli consigliai di suonare musica rock sottoponendogli un paio di album. Lui prese tre brani di Alvin Lee, “Love Like A Man”, “As the Sun Still Burns Away” e “Circles”più uno dei Deep Purple tratto da un 45 giri, “When A Blind Man A Cries”, e li fece suoi in poco tempo facendoli diventare parte integrante del repertorio del suo gruppo. Nonostante la sua voce un po' incerta, quasi singhiozzante, Paolo Pinto si era rivelato in questa occasione anche come cantante. Ne avremo ulteriore prova quando rifece ottimamente, molti anni più tardi, “Moretto da Brescia” tratta dall'album “Nuda” dei Garybaldi del suo chitarrista preferito Bambi Fossati, un hendrixiano. Una versione che io ho sempre preferito all'originale.
Ricordi indelebili con i quali stiamo facendo a pugni in questo triste momento.
Ciao Paolo non sai quanto ci mancherai.
Luigi Ciavarella