Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, mercoledì 16 settembre -  Il panierino aveva cambiato forma. Adesso era più stretto e più lungo. Non più di plastica, ma di un materiale che sembrava cuoio, o una specie di plastica indurita. Una manica da cui prenderla, la cartella, e trovarci dentro cose “strane”: due libri, Sussidiario e Lettura, pennarelli, due penne una rossa e l'altra nera, e un panino con la mortadella (per chi poteva).

 Si entrava in un enorme locale, dove i corridoi sembravano infiniti. Lateralmente si aprivano delle porte di colore marrone con sopra una scritta: “Classe Prima, Sez. A”. E ti ritrovavi con tanti  banchi di colore grigio e nero, duri, ti sedevi e capivi che l'asilo era finito da qualche mese. Adesso si doveva studiare e capire il Mondo.

 Vicino a te c'era un altro ragazzo, della tua stessa età e quasi sempre quel banco avrebbe ospitato quei due nuovi scolari fino  al quinto anno. Un vicino di banco che ti faceva capire benissimo di quanto siamo diversi gli uni dagli altri. Una convivenza quasi forzata e utile per sapere da subito che anche copiare doveva diventare un'arte...

 Spesso si copiava dall'amichetto di banco (o viceversa), come spesso si chiedeva sempre allo stesso amico se potevi “muccecà” dal suo panino. A volte l'amico, il panino non l'usciva nemmeno dalla cartella: per evitare strane richieste. Se lo riportava a casa e se lo mangiava lì. Sopravvivenza della specie.

 Tutti con lo  stesso grembiule, nero per i ragazzini e bianco per le ragazzine. Classi distinte e separate per i due sessi!! Non sia mai potesse esserci promiscuità durante i cinque anni scolastici,   forse morivano i genitori... come alcune persone anziane andavano a sussurrare nelle orecchie dei ragazzini/e.

 Il maestro saliva in cattedra e iniziava l'appello. Forse fu in quel preciso momento che capimmo che i ragazzi non avevano solo un nome e un soprannome, ma anche un cognome!! Il tutto in ordine alfabetico: Aurelio, Arimatea, Bonfitto, Ciavarella, Francavilla, Gravina... seduti nei banchi e ci si alzava quando sentivi il tuo nome e cognome rispondendo: “Presente”. In quel momento si aveva una dignità anagrafica: io mi chiamo così, e nessun altro potrà dire che “è come me”.  

 Tutto questo e tanto altro lo capimmo il primo giorno di scuola alle Elementari. Il silenzio, era un nuovo compagno di classe, che all'asilo non abbiamo mai conosciuto: lì si doveva stare zitti quando il maestro spiegava, e quando lo scolaro leggeva ad alta voce dal suo libro. La ricreazione interrompeva il silenzio, e nei corridoi si poteva anche correre, gridare, con il bidello che faceva da spartiacque tra chi entrava e chi usciva dai bagni.

 La lavagna. Mai vista prima. Enorme. Nera. Si poteva anche farla girare per poter scrivere sul “lato b”. Il gessetto e il cancellino. Nuovi compagni di scuola.  E quasi subito il maestro individuava il più bravo della classe per dargli l'onere e l'onore di essere il Capoclasse!! Colui che inventò “le due colonne”: i buoni e i cattivi. Un'invenzione che non ha avuto seguito, alla società non è più interessato chi fossero tra gli adulti i buoni e i cattivi.

 Stare fermi!! Un altro vincolo che ha segnato la vita di tanti scolari, all'asilo ci si poteva sempre muovere, a scuola no. Doveva esserci ordine e disciplina, altrimenti la bacchetta avrebbe  fatto il suo dovere di educatrice!! Capimmo che a scuola bisognava andare con le mani  e le orecchie pulite, altrimenti prima le bacchettate e poi in bagno con sapone e asciugamani sotto la sorveglianza del maestro. 

 E le finestre. Altissime. In legno. Squadrate. Da quella che avevo io di fronte si vedeva una montagna, si fantasticava di guidare un enorme pullman per poter portare tutti in gita. Non capivamo ancora bene cosa ne sarebbe stato di noi, dal primo giorno di scuola, ma capimmo che qualcosa stava cambiando, si poteva giocare ma poi iniziava qualche dubbio sui diritti e doveri che piano piano ci venivano inculcati.

 E nel turno pomeridiano alcuni si addormentavano, appoggiando la testa sul banco. Forse gli sforzi che ci venivano richiesti erano un po' troppi per dei bambini di sei anni (alcuni ne avevano cinque). La scuola di tanto tempo fa non perdonava: se si studiava si andava avanti, altrimenti si veniva respinti e si ripeteva lo stesso anno scolastico anche per 2-3 anni consecutivi. Altri tempi.

 Il primo giorno di scuola era finito. E si aspettava il secondo.  Intanto per casa il maestro ci dava dei compiti da svolgere: cinque pagine sulle quali ripetere all'infinito il numero 4 (la sedia)  e su altre pagine scrivere “X” (la croce). Quasi nessun bambino sapeva leggere e scrivere. Così capimmo che c'erano dei numeri da “incrociare” tra di loro e delle lettere da mettere una dietro l'altra. 

 E dal secondo giorno tutto fu molto più chiaro: dovevamo saper far di conti per capire che l'economia è tutta un fregatura inventata dagli adulti, e saper leggere e scrivere per capire che la mente umana è talmente vasta che riesce a concepire dei concetti e delle storie che non  avranno mai fine. Che saranno ricordate per vedere se il passato è stato migliore del presente. E spesso è così... 

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio