Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, venerdì 14 agosto 2020 - Il rumore caratteristico ti faceva capire subito che quello che stavi guardando non era “professionale”. Ma un qualcosa di quasi arrangiato, giusto per fare, per mettere anime e corpi su un sostegno che rimanesse nel tempo. E il rumore era quello del proiettore che sparava su un muro, un filmato, o per essere più precisi: un filmino. Un piccolo film che durava non più di mezz’ora, dove si vedevano anche centinaia di persone. Mute. Che spesso salutavano dentro la camera (da presa). Tutte sorridenti, anche perché, quel giorno, si mangiava bene!

 Nessuno parlava, in quelle immagini non c’era traccia di nemmeno una sola nota musicale. Ma tanti sorrisi e baci. I baci venivano dati dagli invitati agli sposi. E decine di persone guardavano il filmino del matrimonio, chiuse in una stanza, al buio, quasi come una setta famigliare di uno strano ordine clericale. Quello era il vero testimone di nozze, a parte i due testimoni legali. Ma ciò che metteva nero su bianco, era quel filmino che veniva visto, molto attentamente, da tantissime persone pressate dentro una stanza. Tutte cercavano il proprio volto in quelle immagini: erano gli invitati al matrimonio, e che adesso si riconoscevano. E ridevano di loro stessi: non si era abituati a vedersi con un vestito addosso tutti i giorni.   

Non era facile riconoscersi “sparati” su un muro di una casa da un proiettore che faceva fatica a proiettare, anche perchè le immagini erano quasi sempre in bianco e nero. Pochissime volte erano immagini a colori precedute dai titoli di testa. Il filmino iniziava con il corteo nuziale, si vedeva la sposa raggiungere, con il padre, la chiesa a piedi, e davanti al cineoperatore si paravano improvvisamente alcuni bambini che saltando cercavano di raggiungere l’altezza della cinepresa, per salutare con la mano.

 Durante la proiezione, fatta in casa dei neo sposi, il silenzio era d’obbligo, e veniva rotto solo quando qualche invitato si riconosceva, subito gridava: “Lu vì, c stegn pur i…”, e poi silenzio. Il riconoscimento “facciale” non era così facile: il muro sul quale veniva proiettato il filmino, non era sempre bianco e nemmeno pulitissimo, e quindi sui visi degli invitati si potevano scorgere delle crepe, che poi erano quelle dei muri di quella casa.

 Dopo che il cineoperatore aveva ripreso la sfilata della sposa accompagnata dagli invitati lungo la strada, le riprese riprendevano all’interno della chiesa. E i momenti immortalati successivamente su celluloide erano: il bacio degli sposi, la comunione degli sposi e le firme messe dagli sposi sul registro. E qui scattava l’applauso nella casa dove veniva proiettato il filmino. Tutti che rivivevano quel momento, come se gli sposi si fossero ripromesso amore eterno. Intanto durante la proiezione, venivano offerti agli invitati (invitati di nuovo), dei dolciumi e dei bicchierini di liquore, come se fosse una ripresa della cerimonia di qualche mese prima al ristorante.

 E già, il filmino non veniva proiettato pochi giorni dopo il matrimonio, ma bisognava aspettare anche alcuni mesi. Si doveva attendere non solo lo sviluppo della pellicola, ma anche delle foto, che venivano incollate sull’album del matrimonio. Filmino più foto era un tutt’uno. All’entrata degli sposi nel ristorante, non si sentiva nessun rumore provenire dal   proiettore, ma si vedevano tante mani applaudire, ma nemmeno un applauso sonoro. I sorrisi erano tanti, che veniva il dubbio, a volte, di quei troppi sorrisi. Come se di matrimoni in quel ristorante ce ne fossero anche due: troppa gioia!

 Intanto nella casa dove veniva proiettato il filmino, improvvisamente il muro che veniva “macchiato” con quelle immagini, diventava bianco: si era spezzata la pellicola!! E il proiettore faceva uno strano rumore, come quando una locomotiva si ferma alla stazione. La pellicola rotta sbatteva sul proiettore. E tutti si giravano verso il proiettore: quasi come se si attendesse quel momento, prima o poi.   

 Nessuno parlava, e si attendeva “l’attaccatura”: attimi interminabili. Alla ripresa del filmino si rivede un complessino suonare, ma la musica non si sentiva, si vedono coppie ballare, ancora risate senza audio. Adulti che prendono in braccio dei bambini e ballano con loro, bambini che ballano in tre come in un girotondo.

 E si attendeva la fine del filmino, quando si vedevano gli sposi che davano agli invitati la bomboniera e l’immancabile “prupat. Il filmino è finito, andate in pace!! E subito dopo la proiezione si iniziava a commentare come si era vestiti quel giorno, come se fossero passati anni: i vestiti per i matrimoni venivano conservati per molto tempo e quasi nessuno ricordava come fossero. Anche perchè di vestiti per andare ai matrimoni ce n’era uno solo!

 Si esce dalla “casa della proiezione” più contenti di quando si entrò. Si erano vissuti momenti indimenticabili, non solo per gli sposi, ma anche per tutti i partecipanti. I “dopo matrimoni” erano degli elisir di lunga vita: più se ne parlava e ricordava quello che si era vissuto, e più ci si sentiva bene.

 Il filmino veniva conservato in una scatola e poi veniva ripreso quando venivano a trovarci i parenti da lontano, e che non poterono partecipare al matrimonio, poiché quel giorno erano impegnati sul lavoro. E quando questi assenti vedevano il filmino, volevano sapere tutto sul matrimonio: tutto sul ristorante, sui testimoni, sulla chiesa, sul prete, sui chierichetti, sul fioraio, i nomi di “quelli della strada”, sul viaggio di nozze (per chi lo faceva), il nome dell’albergo, quanti soldi avevano trovato nelle buste: il totale!! quale invitato aveva messo di più e quale aveva messo di meno, il primo elettrodomestico comprato con i soldi degli invitati…  

 La proiezione del filmino del matrimonio era un input, una benedizione laica: forse il matrimonio iniziava esattamente quel giorno. Tutto quello che c’era stato prima era solo una prova…

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio