Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, lunedì 13 luglio 2020 -  (Anche in questo caso il titolo dell’articolo lo scriviamo in dialetto: rende meglio l’idea…) Le squadre, o squadrette, nascevano nel giro di pochi secondi: il tempo di scegliere gli amichetti per comporle, un sorteggio lampo. L’importante era giocare, anche se vincere era meglio! Si giocava quasi sempre nella strada dove si era nati e si viveva la quotidianità.

Le porte di calcio avevano le sembianze di saracinesche di garage che raramente venivano alzate: se fosse stato il contrario, il proprietario del garage, il pallone l’avrebbe spaccato dopo pochissimi incontri di calcio.Squadrette composte al massimo da 4-5 giocatori, giusto per tirare qualche calcio al pallone e poi rientrare in casa per farsi fare dalla mamma, pane e pomodoro. In quel caso, complice il sudore, quella pietanza aveva più gusto.

Le “trappole” per il pallone quando si giocava in strada erano soprattutto due: i balconi e le automobili lì vicino parcheggiate. Se il pallone andava   su un balcone, diventava una guerra di nervi tra i piccoli giocatori e il proprietario del balcone. Il quale usciva non subito, ma dopo alcuni minuti, dopo che magari, chi aveva tirato il calcio mandando il pallone sul balcone, aveva suonato al citofono per richiedere il pallone indietro: “Bella fè, sop lu ballechett tova, è ghiute a funì lu pallon. C lu pu menà a mmez la strada?”

La signora proprietaria del balcone aveva capito l’antifona: il rumore sentito pochi istanti prima, era stato causato da una pallonata che aveva quasi infranto la vetrina della porta del balcone. Lentamente la signora andava a verificare i danni, che spesso non c’erano, prendeva il pallone in mano, e se ti andava bene te lo restituiva, quasi lanciandotelo sulla testa. Se invece ti andava male, se lo prendeva lei oppure te lo spaccava in diretta con un coltello o forbice. Fine del primo trauma infantile!

Ma il trauma più grave infantile/sportivo che ti poteva capitare, era quando bisognava recuperare un pallone che finiva sotto un’automobile. Non proprio ai bordi inferiori dell’auto, ma proprio nel mezzo, tra le ruote anteriori e quelle posteriori. Dove una manina o una gambina, non potevano arrivarci facilmente. L’addetto al recupero del pallone sotto la macchina, era sempre colui che ce l’aveva mandato lì sotto. E allora si iniziavano a fare i primi tentativi.

Si metteva la faccia a terra toccando la polvere stradale con le labbra, e poi  con la mano più abile (la destra?) si cercava di raggiungere il pallone e di spingerlo fuori. Operazione molto difficile, lo si capiva dai primi tentativi, anche perchè, spesso, il pallone si quasi incastrava sotto l’auto, come se avesse trovato naturalmente un proprio habitat di riposo. Come dire, il pallone si è stancato di essere preso a calci, e ha deciso di riposarsi   proprio lì. Quasi una sede scelta dalla palla: e poi dicono che solo gli umani   hanno la coscienza!!

Visto che il braccino era corto, si cercava di far uscire il pallone da sotto la macchina, allungando la gamba, o tutte e due, mettendosi seduto per terra per poi allungandosi verso la zona dove la palla riposa. Anche in questo caso non sempre l’operazione riusciva in pochi minuti. Il corpo del ragazzino era quasi scomparso sotto l’automobile, ma il pallone non si riusciva a tirarlo fuori.

E allora si andava in casa per prendere una scopa, e si iniziava a colpire la palla. Sembrava tutto facile: ma non sempre il pallone usciva da lì sotto: spesso, colpendolo, il pallone si adagiava proprio sotto il motore. Dove la parte inferiore è quasi ondulata e meno liscia, non permettendo un facile recupero della palla.

I tentativi erano quasi finiti, non si sapeva con cos’altro recuperare la palla. Non restava che chiamare il proprietario dell’automobile per farla spostare. Timidamente, si andava davanti la porta del proprietario dell’auto e si chiedeva: “Bell’om, pu spustà la machena, che sotta è ghiut a funì lu pallon?”

“Lu bell’om” (il signore) quasi sempre in quei momenti (di pomeriggio) dormiva o si riposava dopo aver lavorato la mattina. E allora bisognava aspettare che si svegliasse e avesse tanta pazienza a spostare lentamente!! la sua automobile, per farti recuperare il pallone da calcio. Si aspettava e intanto ci si asciugava il sudore e si rimproverava ancora una volta il ragazzino che con un calcio “poco professionale”, aveva mandato il pallone “sotta la machena”. Poiché quel ragazzino aveva, secondo i suoi amichetti,     “li ped a runcedd”. E si aspettava.

Poi improvvisamente il padrone dell’auto, usciva di casa, tutto assonnato, apriva la portiera e metteva in moto l’automobile. E i ragazzini che davano indicazioni “allu bell’om”, come muoversi per non far schiattare il pallone. Eh sì, c’era anche questo problema: un movimento brusco del guidatore avrebbe messo la parola fine alla palla!!

Ma c’era anche un’altra possibilità: appena il proprietario della macchina spostava anche di pochi centimetri l’auto, la palla poteva uscire da sola da sotto l’automobile, se la strada fosse stata in discesa!! Se invece l’auto si trovava su un terreno pianeggiante, in qual caso anche pochi centimetri di spostamento dell’auto potevano essere sufficienti, se un ragazzino allungasse il braccio o la gamba per far uscire da sotto quell’auto la palla!! Questa opzione era un po’ pericolosa!

Quasi sempre si riusciva a recuperare la palla. Quando non era possibile, si raccoglievano 50 lire a testa e si andava a comprare un pallone nuovo. E non si discuteva più su quello che era successo. Una semplice palla metteva tutti d’accordo: se ce n’era sempre una, significava che si poteva continuare a giocare. Aspettando la prossima “disgrazia”.

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio