Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, lunedì 22 giugno 2020 -  Forse era una reminiscenza di un gadget che si usava almeno quarant’anni prima, in piena Era Fascista, quando, durante il Ventennio c’era già un modo per distinguere i più piccoli dai più grandi. Ma anche i più bravi da quelli meno bravi. Guarda caso avevano i numeri seguendo la numerazione romana (I, II, III, IV, V) e non i numeri arabi che normalmente usiamo (1,2,3,4,5,).

Sarà proprio così: si voleva seguire una specie di linea un “po' dura”, a discapito di quella Montessoriana. Gli scudetti che venivano cuciti sul braccio sinistro durante la Scuola Elementare, volevano essere dei “moniti” per fare meglio: adesso sei in “prima”, studia, così tra poco passerai in   “seconda”.

E quello scudetto con sfondo azzurro ci ricordava che facevamo parte di una classe e che dovevamo sostituirlo il prima possibile con un altro numero superiore a quello dell’anno precedente. Un piccolo “marchio” di appartenenza (non fraintendete) per dare la giusta importanza a quel corso di studi che si stava frequentando in quel periodo.    

Il bello è che oltre lo scudetto azzurro che ci ricordava la classe frequentata, non c’erano altri segni distinguibili che potessero dire che un ragazzo era “meglio” di un altro. Lo scudetto era uguale per tutti: non era una pagellina a cielo aperto. Ed era gusto così. Il nero del camice (per i bimbi) e il bianco (per le bimbe) facevano spiccare ancora di più il numero che indicava fino a che punto era arrivata la nostra formazione scolastica.

Sembravamo tanti capitani di un’unica squadra che scendevano in campo ogni giorno, su un terreno di gioco fatto da istruzione e formazione scolastica, con due libri (Lettura e Sussidiario) che spesso si dovevano imparare a memoria.  

Ce lo guardavamo spesso, lo scudetto numerato, anche perché a volte si scuciva o l’amico di banco ce lo rubava (era facile toglierlo dal camice poiché era attaccato con “li ciapp tomatec”). Un furto che non sarebbe servito a nulla: tutti avevamo lo scudetto sul braccio e averne due non aveva senso. Infatti poco dopo te lo restituiva: infantilismo… Il momentaneo furto veniva fatto per degradarti, per non farti sentire più parte di quella classe. Un “senza classe”, fuori da ogni ordine sociale.

Quei numeri sullo scudetto a volte per alcuni non aumentavano: c’erano molti bambini che frequentavano la stessa classe anche per 2-3 anni consecutivi: tani anni fa si bocciava anche alle scuole elementari. E iniziammo a capire che il numero “VI” (sei) non esisteva. E da quel momento si doveva intraprendere tutto un altro tipo di apprendimento scolastico: iniziava la Scuola Media. Dove i numeri né romani e nemmeno quelli arabi ci venivano attaccati sul braccio sinistro, e nemmeno il grembiule veniva usato.

Si stava crescendo. E si capiva che quei numeri sullo scudetto ad una certa età non avevano senso: con l’adolescenza iniziava una nuova vita. Iniziavamo a chiederci: “Quando non si è più bambini?” Adesso lo sappiamo: quando non ci sono più numeri che ci distinguono dagli altri, compresa l’età.

La distinzione veniva dettata dalle idee: anche a partire dai dodici anni…

Soundtrack: “Girotondo” - Fabrizio De Andrè

Book racommended: “Io speriamo che me la cavo” di Marcello D’Orta

 Film recommended: “Non uno di meno” di Zhang Yimou

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio