Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, lunedì 1 giugno 2020 - L’aspetto più inquietante della vita è quando la Fine sembra arrivare, ma poi ci ripensa. Ed è lì che attende, non sappiamo cosa stia aspettando, ma sta pensando e ripensando su come e quando mettere fine a ciò che è nato tempo prima. Un ritardo che sembra non voglia chiudere un cerchio che è “perfetto”: vita, sofferenza, morte. Una perfezione che nessuno accetta. Ma ciò che nasce, poi, non deve più esserci.
Una sospensione del tempo, quando la fine tarda ad arrivare, che potrebbe protrarsi anche per anni, come potrebbe durare poche ore. L’epilogo della vita di ognuno di noi è sempre diverso, anche se a volte ci sembra simile. È diverso perchè siamo tutti biologicamente diversi uno dall’altro, anche se la durata di una malattia è uguale come tempo.
I credenti dicono che è dio che decide i tempi e i modi. E allora non ci resta che attendere…
Non erano convinti di questo ultimo concetto, alcuni abitanti della Sardegna, soprattutto della Barbagia, dove erano attive delle donne chiamate “Accabadora”, le quali mettevano fine alla vita di pazienti terminali. In pratica mettevano in atto un’eutanasia attiva ante litteram, usando un cuscino per togliere loro gli ultimi respiri.
Oppure usavano ''su mazzolu'', una sorta di bastone appositamente costruito da ramo di olivo, lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permette un'impugnatura sicura e precisa. Il paziente veniva colpito con forza sulla fronte, nemmeno i presenti a volte si accorgevano di questa bastonata.
Naturalmente parliamo di pazienti in agonia e che da tempo soffrivano di malattie incurabili e che erano allettati. Un atto pietoso che non metteva solo fine alle sofferenze di questi pazienti, ma era anche “un aiuto” per i parenti che non si potevano permettere di trasportarli per giorni, da medici che non avrebbero comunque risolto nessun caso del genere. Parliamo di una società Sarda almeno di una sessantina di anni fa.
Spesso in quella casa dove veniva chiamata “Accabadora”, prima di lei c’era un prete per l’estrema unzione, poi il sacerdote andava via, ignorando cosa sarebbe successo dopo; dai muri veniva tolto tutto ciò che c’era di sacro, come santini e statue; e da quel momento iniziava il rito della “signora in nero”. Subito dopo c’era una serie di preghiere e una serie infinita di croci fatte sul volto del defunto con le dita dell’Accabadora.
Le signora “Accabadora” si presentava di notte, tutta vestita di nero e si sostituiva a dio. Non era un sacrilegio mettere in atto un’operazione del genere, ma veniva considerato un naturale susseguirsi del ciclo della vita. Non c’era il minimo pentimento da parte di nessuno nel mettere fine alle sofferenze del paziente.
La sostituzione di dio da parte dell’Accabadora era un fatto naturale: un essere vivente che sostituisce chi lo creò. L’immagine e somiglianza di quella donna a dio, le permetteva di fare le sue veci, sulla fiducia. Dio ha tanto da fare!!! Soprattutto genera, e se ha tanto da fare, qualcuno lo deve pur aiutare, non tanto a generare, ma anche a fare spazio a ciò che verrà generato. Una sostituzione prettamente terrena, senza addentrarsi nell’aspetto soprannaturale della vita.
L’Accabadora naturalmente non pretendeva nessun compenso, di nessun tipo. E questo aspetto la dice lunga sulla missione “prettamente cristiana”. Uccidere una persona sofferente era come quando il soldato romano infilò la sua lancia nel costato di Cristo: alleviare le sofferenze a gente condannata a morire.
A volte dio non c’è, o non vuole prendere delle decisioni che a noi sembrano scontate. E alcuni di noi lo sostituiscono, secondo coscienza. Alla fine è solo quella che conta: la Coscienza!
Soundtrack: “Tears in Heaven” - Eric Clapton
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Mario Ciro Ciavarella Aurelio