Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, venerdì 8 maggio 2020 - Non si riusciva facilmente a spingere e far rotolare un pallone che era stato creato da mani piccole, ma forti. Le cuciture tenevano insieme esagoni imperfetti, che davano un senso di tanta precarietà a quella forma che ricordava a volte un’anguria. Eppure era un pallone da calcio. Il grasso che cercava di dare un tono e una forma stabile al tutto, colava, e veniva tolto involontariamente dalle mani di giovani calciatori, ogni volta che lo prendevano in mano per una rimessa laterale.
Le traiettorie erano improvvisate: non c’era verso di dare una direzione retta, ogni volta che un calcio veniva dato al pallone di una volta. La vista di un pallone da calcio (o qualcosa che gli somigliasse), attirava intere generazioni, come se fossero Terre Promesse da raggiungere a tutti i costi. Colpire di testa, quei palloni, nemmeno a pensarlo. Si aspettava che venissero presi con le mani dal portiere, oppure che toccassero il terreno di gioco per poi colpirli con i piedi e indirizzarli verso la porta avversaria o passarli ai compagni di squadra.
“Uagliù, jat a jucà a mmez lu chian”, era il rimprovero che era rivolto a noi ragazzini degli anni ’60-’70. Anziane che abitavano nelle nostre strade, ci sgridavano quando il pallone rompeva qualche fragile vetrina di porte che giusto coprivano l’uscio di abitazioni del dopoguerra. Dopo averci rincorso con la scopa in mano, l’anziana “scampata” alla pallonata ci sgridava/suggeriva di andare a giocare… a Largo Piano. Perchè proprio lì, e non ad esempio nella Villetta o nel campo sportivo? i due luoghi che ufficialmente vengono riconosciuti come sedi naturali del calcio sammarchese?
Questa è una bella storia, che inizia nel 1924. Le anziane di tanto tempo fa, ricordavano perfettamente che i ragazzini di almeno cento anni fa, giocavano a pallone a “mmez lu chian”. Nelle mie ricerche condotte nel 1998 seppi che i ragazzini dell’epoca identificarono uno spiazzo compreso tra l’Opera Pia, l’attuale Ufficio Postale fino all’imbocco di Piazza De Martino (dietro il distributore Agip). Il terreno non era rettangolare ed era in discesa verso l’Opera Pia, spazio ricavato dopo che vennero fatti dei lavori di scavo per recuperare del materiale che servì per altri lavori pubblici.
Questa zona, cento anni fa, era in periferia, considerando che il centro di San Marco si trovava nella Padula. Qualche ano dopo, nel 1929, si utilizzò il terreno dello scavo dell’edificio Balilla per poter dare un aspetto più presentabile al “primo” campo sportivo del nostro paese. Anche se sistemato alla meglio, questo spiazzo non poteva ospitare gare ufficiali di calcio, e nel 1932 dietro sollecitazione del Capo Ufficio Sportivo di Foggia e del Prefetto, il comune di San Marco incaricava l’ing. Pietro Ciavarella a progettare un campo sportivo (vero). L’area scelta fu quella della Villetta comunale.
L’ing. Ciavarella presentò all’allora podestà Luigi Ciavarella il seguente preventivo. Scavo terreno: 11.258 lire, porte campo da calcio: 100 lire, reti per le porte: 200 lire, cordoni in pietra fiancheggianti il campo: 1.224 lire, pali di legno per delimitare il campo: 200 lire. Per un totale: di 12.982 lire. I lavori vennero affidati alla ditta Antonio Del Mastro per la somma di 5.850 lire. Il recinto del terreno di gioco venne effettuato dalla ditta Pasquale Bisceglia per 1.000 lire.
Nel dopoguerra (1946) venne acquistato il terreno dell’attuale campo sportivo. Anche questo in discesa (o in salita), tra le due porte c’era un dislivello di quasi dieci metri!! Per arrivare ad una par condicio calcistica (lo spianamento del terreno di gioco) bisogna aspettare fino agli inizi degli anni ’60, quando il vicesindaco, il maestro Giuseppe Cervone si interessò al problema e incaricò l’operaio ruspista Bevilacqua a livellare il tutto. Le gradinate (ormai ex) vennero costruite negli anni ’60 facendo lavorare alcuni operai che rientravano nella categoria “cinque giorni al comune”.
Per i “vecchietti” come me, dovreste ricordarvi della biglietteria, dove c’era una finestrella piccolissima, modello “41 bis”. Da dove il bigliettaio, mettendo la mano fuori ci dava il biglietto d’ingresso. Ebbene, quella casetta in origine era un canile!! Probabilmente provvisorio, giusto il tempo di ospitare i cani per alcuni giorni per poi trasferirli in altri posti più idonei.
L’attuale campo sportivo è ruotato di 180 gradi rispetto a quello precedente, in modo tale che è stato possibile costruire una strada transitabile dal traffico automobilistico che collega Monte di Mezzo con l’Addolorata. Inizialmente il progetto constava anche della costruzione di altre tribune da sistemare dietro la porta del portiere che dà le spalle a via Amendola per un totale di 10.000 posti a sedere!! In pratica una curva vera e propria. Quando nel 1998 iniziarono i primi lavori del campo, chiesi più volte al progettista il numero di spettatori che potessero prendere posto sugli spalti: lui rispose sempre allo stesso modo, 10.000!!!
Parallelamente al terreno di gioco, nella zona dove parcheggiano i pullman delle squadre ospiti, dovevano prendere vita due interessanti strutture sportive: due “campi palestra” di cui uno coperto, dove si sarebbero svolte attività come pallavolo e pallacanestro. Inizialmente il terreno di gioco non doveva essere in erba sintetica, ma mantenere il terreno “d vreccidd”, e anche l’illuminazione non doveva esserci. La spesa totale dell’intero impianto era inizialmente di 2 miliardi e 300 milioni di lire.
La prima sede della Polisportiva Sammarco si trovava in Corso Matteotti, 88 in un locale del Presidente Ettore Ciavarella. Personalmente ricordo quella sita in via Togliatti, negli anni ’70, quando sul posto c’erano anche due campi da bocce e un campo da tennis. Il campo sportivo è denominato “Tonino Parisi”, inaugurato nel 1947. Quando si pagavano poche lire per poter entrare. E se proprio non si poteva pagare, bastava fare il giro dall’Addolorata per raggiungere Monte di Mezzo, una “tribuna” molto popolare da dove la vista era ottima e abbondante!!
Quando si parla di Tonino Parisi (nella foto) a San Marco, si intende senza dubbio del calciatore che ha dato il nome al nostro stadio. Tonino insieme al fratello Sebastiano, formavano una coppia di forti calciatori locali. Sebastiano perse un occhio durante un incontro di calcio: i palloni all’epoca erano duri. Tonino continuò a giocare nella Virtus San Marco fino a quando nel giugno del 1948 alla fine di una partita di calcio, per rinfrescarsi dopo lo sforzo sostenuto, si bagnò ad una fontanella al Largo Piano. L’acqua era gelida: prese la broncopolmonite. Nel dopoguerra non vi era grande disponibilità di medicine e la penicillina costava molto alla borsa nera. Il nonno di Tonino riuscì a trovarne una dose a Napoli, ma arrivò troppo tardi… Nel ricordo di un promettente e generoso calciatore, la città di San Marco in Lamis gli dedicò il campo sportivo.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio