di Luigi Ciavarella

San Marco in Lamis, domenica 3 dicembre 2017 -  Si intitola “A Sting In The Tale” il nuovo album dei Ten Years After uscito qualche mese fa, peraltro già ampiamente preannunciato l’estate scorsa nel corso dei vari tour che la band inglese effettuò in giro per l’Europa. Il disco esce a 50 anni esatti dal loro debutto ma di quella formazione leggendaria, nata sulla spinta di un autentico amore per il Blues, guidata da Alvin Lee, oggi non restano che due dei protagonisti di quell’epoca: il tastierista Chuck Churchill e il batterista Ric Lee.

 Il bassista Leo Lyons, che aveva contribuito sino all’ultimo a ravvivare la leggenda, getta la spugna lasciando a Colin Hodgkinson (una vecchia conoscenza dei tempi arcaici del blues inglese di Alexis Korner) il proprio posto. Alla chitarra subentra a Joe Gooch, il cantante chitarrista che aveva preso il posto di Alvin Lee, Marcus Bonfanti, con all’attivo quattro album senza infamia e senza lode. Alvin Lee, storica chitarra e voce del gruppo di Nottingham, fondatore e leader, nonché principale compositore, aveva già abbandonato il gruppo al suo destino sin dalla metà dei settanta. Salvo qualche sporadica occasione negli anni ottanta (“About Time” del 1989) il gruppo non si era più ricomposto. Il grande chitarrista aveva avuto una sua indipendenza discografica e concertistica. Morirà a causa di una malattia nel 2013.

Con Joe Goosh i Ten Years After producono un paio di album e un doppio dal vivo senza aggiungere nulla al suono della band, diventato nel frattempo un po’ stantio. D’altra parte difficile immaginare i Ten Years After senza Alvin Lee (sarebbe stato come, per fare un esempio, i Doors senza Jim Morrison o i Rolling Stones senza Mick Jagger) anche se il gruppo inglese prova a sopravvivere a se stesso con dignità. Alvin Lee, da parte sua, possiede una discografia impressionante più o meno impregnata di hard rock, la sua vera passione dopo il blues, e una invidiabile attività on the road che alimentano in continuazione una leggenda che origina da Woodstock ed che ha i suoi punti fissi discografici in due album-capolavori: “Undead”, il disco live del 1968 che lo consacrerà come “il chitarrista più veloce del west” e, riguardo il lato propriamente rock,  “Ssssh” di due anni più tardi, che invece darà l’imput alla seconda fase della sua storia, quella più legata al rock blues.  

Questo nuovo disco si differenza nettamente dai precedenti (quelli prodotti con Joe Goosh) per una maggiore pacatezza di fondo che sembra prediligere suoni più acustici e meno spettacolari rispetto al recente passato. Alcuni brani (“Suranne Suranne”, l’introduttiva “Land of the Vandals” o la bella ballata “Diamond Girl” ) fanno venire in mente “A Space in Time” l’album della svolta elettro-acustica del 1971, con suoni e ballate pop di buona fattura compositiva. La voce di Marcus Bonfanti è gradevole ed energica, mentre la sua chitarra non sconfina mai in lunghe cavalcate solistiche come ci avevano fin troppo abituati sia Alvin Lee che Joe Goosh. Le tastiere di Churchill sono più presenti. Un suono che tuttavia rimane come sospeso, non perfezionato, imperfetto. Si respira tra i solchi una sensazione di incompiuto anche se la band sembra determinata a vivere una nuova rinascita musicale. Un nuovo corso e una immagine nuova ancora tutta da scoprire.  

 

Luigi Ciavarella