Antonio Del Vecchio

San Marco in Lamis, domenica 23 aprile 2017 - Questa volta è la “Montagna” che è andata da Maometto e non viceversa. Il riferimento è alla serata di poesia in tutte le lingue del Gargano regalata dagli autori del volume “Poeti del Gargano…” alla  capitale  della cultura per antonomasia  della Capitanata, quale si ritiene ed è San Marco in Lamis. Lo hanno fatto con il raduno svoltosi ieri sera presso l’accogliente Sala di Artefacendo, unendosi agli altri selezionati ospiti del luogo. A prendere la parola per primo è stato Franco Ferrara di Apricena, che con i suoi modi e parole semplici , oltre a  presentare relatori ed autori, ha moderato i lavori sino alla fine.

 Lo ha seguito a ruota Pierino Villani, docente ed autore di opere teatrale, che nel portare i saluti dell’associazione “La Puteca” e di “Artefacendo” ha messo in evidenza le finalità perseguite dai sodalizi, auspicando la messa in atto di iniziative dirette a far crescere culturalmente la città. Dal canto suo, Angelo Capozzi, dell’Università del Crocese in Foggia, il quale ha fatto una lunga cronistoria degli antichi abitatori della Daunia, passando in rassegna  le avvenute immigrazioni e trasformazioni linguistiche che l’hanno interessata nel corso dei secoli, soffermandosi in particolare, oltre che sulla lingua, sugli usi e costumi introdotti ed assorbiti dal territorio fino ai giorni nostri.

In ciò facendo leva sull’interpretazione delle leggende, tramandate per via orale di generazione in generazione. Dopo di che la parola è passata ad Antonio Del Vecchio, giornalista, che si è soffermato a lungo sugli ‘inquinamenti’ in corso nella lingua ufficiale e nei dialetti d’Italia, con l’avvento della globalizzazione e l’uso dei mezzi di comunicazione sempre più evoluti, che ha rivoluzionato non solo il nostro modo di parlare ma anche quello di pensare ed interpretare i nuovi bisogni. Infine, è intervenuta, in veste di critica e di esperta di letteratura, Leonarda Crisetti di Cagnano, che ha tenuto una vera e propria “lectio magistralis”  sulla materia, evidenziando le varie sfumature non solo di tipo linguistico e stilistico ma soprattutto riguardanti  la varietà ed originalità  dei contenuti di ogni singola lirica.

Tra l’altro, riferendosi ad alcuni concetti, già esplicitati da Maurizio De Tullio, ha sottolineato la necessità che la scuola si attivi a promuovere il dialetto, in quanto bene culturale e specchio della realtà, per arginare l’omologazione corrente “sempre più perversa e pervasiva”. Ed è proprio in questa direzione – ha affermato la relatrice – che si muove il libro in parola. Si tratta , a suo dire,  della <<prima opera di questo  genere, realizzata nella “Montagna del sole”, non perché non ve ne siano  altre, ma perché è la prima che ha consentito agli autori di esprimersi utilizzando il codice dialettale del proprio paese liberamente, trascrivendo i suoni della parlata locale senza sottostare a regole imposte>>.

Dopo di che si sono alternati a declamare le tre poesie previste, lo stesso Ferrara e poi via via tutti gli altri:  Giuseppe Trombetta di Carpino, Nino Visicchio e Rocco Martella di Ischitella, Pietro Salcuni di Monte Sant’Angelo, Onorio Grifa e Michele Totta di San Giovanni Rotondo, Maria Rosaria Vera, Michela Di Perna e Nicola Angelicchio di Vico del G., Isabella Cappabianca Pernice e Angela Ascoli di Vieste e  Antonio Guida di San Marco in Lamis. Applausi per tutti, in modo particolare per Guida, padrone di casa e per M.R. che ha incantato il pubblico, oltre che per le rime, soprattutto per la canzone della ‘tarantella’, ballabile invitante,  accompagnato dal pubblico con il ritmo del battimani. (La redazione con foto di Luigi Ciavarella)

  

(In questo mio breve intervento: “ che non vuole rubare spazio ai poeti protagonisti della serata – vorrei  parteciparvi insieme ai miei saluti il mio modesto commento sulla snella e significativa antologia e fare gli auguri a gli autori della raccolta che hanno penato di raccogliere alcune delle loro produzioni nel volume che andiamo a presentare, il quale emana “sentore” poesia fin dal titolo Poeti del gargano nella lingua dialetto dei paesi le poesie. Sentore di poesia – come accennavo – evidente nel ripetersi del suono “p”, che compare per tre volte nel titolo e della “t” presente anch’essa tre volte. Sarà stato un caso o esito di una scelta?Lo chiederemo al Sig. Ferrara ideatore del progetto e curatore dell’antologia. Antologia importante, e non solo per noi garganici, sia perché raccolie il fior fiore delle produzioni dei poeti che hanno preso parte all’iniziativa, sia perché cristallizza le parlate locali, fungendo in questo caso anche da documento storico. Antologia che si presta a diverse letture.

La mia, ad esempio, mi ha permesso di riflettere sull’importanza del dialetto che non è la lingua ‘cenerentole’ ma che ha anch’essa una propria dignità, una lingua che non è lingua – come le altre – è strumento del pensiero, mezzo di comunicazione, oggetto culturale, mezzo per esprimere emozioni e sentimenti, strumento capace di poesia tout court. Ho avuto modo di constatarlo quando, raccogliendo le canzoni popolari del mio paese, pubblicata nella raccolta “Bbèlla te vu mbarà…canti e storie di vita contadina 2004, ho avuto modo di verificare che la nostra tradizione ci ha consegnato canti che non hanno nulla da invidiare alle poesie del Dolce Stil Novo che i giovani leggono a scuola.

I testi raccolti e analizzati, infatti, adottano soluzioni stilistiche originali e molto efficaci, figure retoriche e suoni onomatopeici. Ne “I mesi dell’anno”, ad esempio, giugno si presenta dicendo che vuole farsi “sferracchiata” (mietuta) con “sferrècchia (falce), tagliando la testa alla “fèmmena vècchia (campo maturo). In una “canzone d’amore”, il cantore invita la donna a sciogliersi i capelli – che “ce chiàmene chinzola cristiane” – in modo che il vento possa farli svolazzare e il sole li faccia splendere, scegliendo parole singolari come “sbalijà” e “sderluci”. I racconti dei nonni si colorano disuoni onomatopeici, là dove parlano di cielo che ‘ndrona’ (tuona), di fanoja sckatteiènda (falò che scoppietta).

I racconti e i canti della tradizione potrebbero entrare esserre nelle scuole dei nostri figli se come comunità fossimo più vigili e presenti. Il vantaggio sarebbe anche quello di riuscire ad interessare maggiormente i ragazzi alla letteratura, dato che per esperienza ho potuto constatar che i ragazzi sono attratti dai saperi “caldi” per il fatto che afferiscono al vissuto e consentono loro di intravedere, ad esempio, coem il nonno corteggiava la nonna, quanto fosse importante. L’attesa delle feste religiose, della pioggia, della semina…Cosìricostruendo la rpopria storia e la propria identità. La lettura delle poesie raccolye in questo volume mi ha permesso, inoltre, d’intravedere lo scenario di tutto il gargano con i suoi paesi e paesaggi variegati fortunatamente acora poco contaminati (montani, collinari e pianeggianti, lacustri o marini) di individuare  temi che mettono a nudo affetti, virtù e difetti umani, paure e precarietà, questioni dell’attuale società.

Un documento che fotografa insomma la nostra realtà. All’interno di questo scenario sono riuscita ad estrapolare il profilo dell’uomo garganico.  1) Un uomo legato ai ricordi. L’amore de ‘na vote, diverso da quello di oggi, perché in passato “L’ nnammurate  parlavene da luntane, e stevene a mamme pe li recchie tése”. Il natale di un tempo, allorché  “supr i muntagne e supr un pais acchiane acchiane ascegn a nive e mezz’a straten a morre di guagnune ki guance tutte ruscj menin all’arrie tante paddune, mentre d’intre i cas dy vicayuli i mamme stanna affaccinate a fa cristre , pettji e kauciune, delle paure dei fanciulli, u paponn2 che mamme muntuave spise” e p fa sta quiéte  a nu quatrà  diceva: mo vav muccicà” e “u cszzanurrédde….sempe pu nu caèèédde ca..ci  lu riusciv a luà nu sacc’ de solde t’avva lassà”.  2) Un uomo triste e solo come “L’utene ciucce, e come i centri abitati, sempre più deserti. “La strata tutta cagnata. ‘na freca di porte chiuse di case e di tant’iuss’ che parene abbandunan. Pia vuia po nescjune, n’voce de cristiane lundànoduje afrecane, li rucchi alli balicune e chese de nonne che pareva una reggia e ‘mo n’n ci sta chù nisciune”. Un uomo che apprezza le bellezze naturali e gli spazi incontaminati  ..8° terre d’u Gargane. Bell’acqua, L’albe ha viste.3) Un uomo che ha difficoltà a trovare lavoro ed è costretto ad abbandonare i propri cari e il proprio paese (“l’ucchie lucede”, “lu core” che (batte forte”, “ parte pe forze” perché lascia “Tutte la vita, la mamme, li sore e li frate”, “ nu pizze de core”. Emigra perché “sta tèrre” avère, manghe na zenne de fatiche, non déie pene, mache a na furmiche”.

Deve andare, perché “la famigghia sta “nguiata”, soffre citta e “arretrate, ie’ fenuta inde nu fusse”. 4) Un uomo attaccato alla proprietà (Nu mazze de sparte), che si lamenta anche quando non ce n’è bisogno ( a quante è musce), diffidente verso chi amministra e governa (da stamattina chiòve e cchiòve forte Gargan) o verso chi, legato al potere, non  ha il coraggio di farsi da parte (U curagge).5 Un uomo sensibile ai problemi delle diseguaglianze sociali (U furnare e lu v’cchiaredde), della povertà ( Lu sonne de nu pezzente),  Lu vucale de la nonna6) uomo che, pur essendo infastidito dal comportamento del “vanaglorioso”e pronto “a nià vertetà” (U Busciarde), nel palcoscenico della società si è costretto a recitare una parte che non si è scelta (L’attore)7)Un uomo che sa fare autoironia (ci chiamano pup’) e filosofia, come emerge nell’attore, dovè dato di riscontrare inoltre il ritmo cadenzato, a tratti incalzante, che conferisce musicalità al verso: Si custrétte a jesse / pe forza maggiore / a jesse/ quanne vu jesse/ schiave de la sucetà/ a dice e a fa / come vònne lòre/ senno te truve fore. Questo uomo, pur essendo consapevole di vivere “nda nu mònne dòve cònte sole quédde che vune pussede no qèedde che vune jè veramente”, pensa in ogni caso che occorra agire con responsabilità (felusufànne) e che sia necessario ripensare i modelli educativi: insegnare le regole ai propri figli (se vu ène) e tenerli lontani dal vizio del iogoc (i mach.nett).

8) Un uomo profondamente umano che è addolorato dalla morte delle persone care (U Pacche), è terrorizzato dal male del secolo e apprezza i progressi della scienza nel campo della medicina.: P’lla puttana! Stu cacchiye de tumore / fa rèje li capidde a tutte quante. Arrappa scia li vecchiye che li ggiune e lèste li manna allu campesante.9) Un uomo fondamentalmente fragile (creajature miie) e uguale a se stesso (simme accusì), che si rivolge nell stesso tempo alla magia, (cenzé te misse l’ambetine?” e alla Vergine, per chiederle di potere trovare conforto in un suo abbraccio: (famme sta’ cchiu’ strinte a Te, Mamma de Die”.

Che cosa accadrà in futuro del dialetto non è dato sapere con certezza. Secondo Maurizio De Tullio la nostra mente linguistica non è paragonabile ad un secchio d’acqua in cui, se si versa una lingua, forzatamente deve uscirne quella che c’era prima. Ne è prova il fatto che ogni comunità umana è intrisa di plurilinguismo, di coesistenza, anche nelle singole persone, di capacità idiomatiche diverse. Spetta in ogni caso alle comunità il compito di sostenerlo – promuovendolo anche attraverso le scuole, in quanto bene culturale da salvaguardare e specchio della realtà, in nome dell’originalità, della diversità, dell’identità, per ar4ginare l’omologazione sempre più perversa e pervasiva, e favorire l’integrazione.

Ed è proprio in questa direzione che ritengo vada la presente raccolta intitolata “Poeti e poesie in lingua dialetto del Gargano”, forse la prima della “Montagna del sole”, non perché non ve ne siano altre, ma perché è la prima che ha consentito agli autori di esprimersi utilizzando il codice dialettale del proprio paese liberamente, trascrivendo i suoni della parlata locaòe senza sottostare a regole imposte. Agli autori della raccolta: Franco ferrara e Raffaele Pennelli di Apricena; Giuseppe Trombetta di Carpinom Nino Visicchio e Rocco martella di Ischitella, Pietro Salcuni di Monte Sant’Angelo, Giuseppe Lombardi di Rignano G., Onorio grifa e Michele Totta di San Giovanni R:, Antonio Guida di San Marco in Lamis, maria Rosaria Vera, Michela Di Perna e Nicola Angelicchio di Vico del G., Isabella Cappabianca Pernice e Angela Ascoli di Vieste- Auguro perciò che il volume abbia il successo che merita e che ili dialetti del gargano abbiano lunga vita.