Tonino Daniele
San Marco in Lamis, martedì 18 aprile 2017 - Leggere l’ultimo libro di Luigi Delle Vergini è come sfogliare un album fotografico: con la scrittura è riuscito a scattare foto di straordinaria bellezza: raccontano della sua vita, del suo sguardo sempre orientato nel senso più intimo del <vedere> quei momenti e quei dettagli che hanno segnato (e continuano a segnare) la verità della sua esistenza. Ricorda fatti e persone; descrive momenti; ed è proprio vero: sono <Piccole cose>, ma estremamente belle, perché sinceramente vere.
Nessun artificio, nessuna retorica, nessun ricamo poetico serve per raccontare semplicemente di una vita; di una storia che l’Autore ha voluto – ancora una volta – condividere; <avvenimenti tutti apparentemente di poco conto, ma di utile insegnamento>, <piccole – grandi contraddizioni> che segnano la vita di ciascuno.
Lo spazio narrativo è disseminato di ricordi: quello di un barbone senza fissa dimora che restituisce un prezioso zainetto nell’anonimato più assoluto; quello di Suor Tarcisia e del suo sorriso sempre pronto a dire “buongiorno”; quello di Luciano, <ragazzo buono, semplice e generoso>, scomparso prematuramente; quello della nascita di Francesco Luigi e della gioia di veder crescere i figli dei propri figli. Sono storie di vita ordinaria, eppure in ognuna niente è mai come sembra, c’è sempre qualcosa non detta e inattesa che l’Autore ha sapientemente voluto nascondere, senza – però – riuscirci: quei sentimenti che – a volte – sono difficili da scoprire, perché sul rovescio delle <piccole cose>.
Più che scrivere, l’Autore parla e sembra quasi di averlo accanto abbandonato alla piena inesauribile dei suoi ricordi; sembra sentire le voci in quell’aula di Tribunale, vedere il viso impaurito (e rassegnato) dell’imputato condannato per <un bottino di solo cinquanta lire> ed avvertire il rammarico che – in quel luogo – una giustizia caritatevole deve cedere il passo ad un diritto contabile e quantitativo, pur nella consapevolezza che la giustizia – a volte – arriva dove il diritto non può (e non vuole) arrivare.
E’ un lungo viaggio che attraversa tutta la sua vita, una vita che vuole diventare parole e suscitare nel lettore la sensazione di celebrare un inizio molto più che una fine, la speranza molto più della nostalgia, il futuro molto più del passato. C’è tanta luce in questi brevi racconti, ed anche nei ricordi tristi <rende possibile tutti gli inizi (…), avvolge tutto, si fonde con il suo stesso destino, prende la giusta via oltre ogni fine, oltre gli orizzonti, oltre i ricordi…> (Asli Erdogan, La luce del silenzio, in Robinson/la Repubblica, 16 aprile 2017).
Ognuno ha il suo “modo” di viaggiare: l’avvocato Delle Vergini ha scelto il “treno dei ricordi” sul quale hanno preso posto persone (ma anche personaggi con garbo ironicamente raccontati) e cose sottratte – così – all’oblio del tempo: come non ricordare il Canonico Don Michele Giuliani a cui l’Autore dedica (e riproduce nel testo) un suo intervento in Consiglio Comunale nella seduta del 15 settembre 1970 che, sull’esempio di Don Milani,<è stato educatore esemplare e maestro di parecchie generazioni di professionisti> della nostra città. Ed ancora, il ricordo dell’Avv. Francesco Kuntze e della sua <statura intellettuale e preparazione giuridica>.
Ma tutto nel libro è vivamente romanzesco: La “Toga” in udienza (<L’aula dove si svolgeva il processo penale non era molto grande ma, soprattutto, era piena di molti curiosi, in quanto l’imputato era ben noto in zona per il fatto che la giovane moglie, dopo aver dissipato il patrimonio dell’anziano marito, aveva tentato anche di cacciarlo di casa, per meglio godere le attenzioni di un giovane corteggiatore>); 150° anno dell’Unità d’Italia (<seguiva una giovane ragazza, con [un’]aurea corona in testa, vestita di “bianco” e adorna di due svolazzanti veli color “rosso” e “verde” che, muovendosi con grazia ed austerità a centro strada, rappresentava l’Italia>); La prima mia auto (<La 600, fino a quando la strada era in discesa, andò sempre bene ma, appena in pianura, alla prima curva dopo l’attraversamento dei binari della ferrovia garganica, il motore incominciò a sussultare fino a spegnersi dopo pochi metri di percorso e, malgrado gli sforzi compiuti, il motore non volle più riaccendersi>).
E poi la dedica: <a Francesco Luigi, Filippo Maria, Edoardo>, quasi a significare che nella vita non hanno importanza i lasciti ereditari, quanto – piuttosto - l’insegnamento di quei valori che sempre più spesso si fa fatica a tramandare.
Non posso – però – alla fine non ringraziare l’Avv. Delle Vergini per aver consentito anche a me di prendere posto sul quel treno (magari in “terza classe”) la cui destinazione sembra essere lontana ed ignota. Grazie e “ad maiora”.
Tonino DANIELE