Redazione
San Marco in Lamis, mercoledì 15 marzo 2017 - Cinema comunale "Francesco De Robertis" prossima proiezione sabato 18 e domenica 19 marzo 2017, spettacoli ore 18,30 e 21,00. Regia: Massimiliano Bruno, genere: (commedia, Comico) attori:Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Valeria Bilello, Carolina Crescentini, Teresa Romagnoli, Guglielmo Poggi, durata 102 minuti, produzione Italia. Produzione Italian International film con Rai Cinema. Sceneggiature: Massimiliano Bruno, Herbert Simone Paragnani, Gianni Corsi.
Twitter, Facebook, Instagram, chat, follower, visualizzazioni, contatti, link, condivisioni: parole parole parole conosciute, impiegate, masticate, triturate e interiorizzate dalle civiltà occidentali e orientali, costrette o compiaciute da un continuo necessario update. Parte integrante del vocabolario del professore "piacione" di matematica Filippo, rimangono invece un mistero imperscrutabile e francamente ininteressante per l’insegnante di italiano Ernesto, che fa della propria severità un vanto e apre le lezioni recitando con enfasi e passione "A Zacinto" di Ugo Foscolo, perché in terzo liceo, da che scuola è scuola, si comincia con il poeta nato in Grecia e cresciuto nella Repubblica Veneta.
Questi due personaggi, un tempo rivali sia in amore che nelle "scamuffe" recite di una filodrammatica, sono il motore buffo del quinto film di Massimiliano Bruno, che dal serio Gli ultimi saranno ultimi si porta dietro Alessandro Gassmann - già diretto in Viva l’Italia - affiancandogli un attore a cui il degno erede di papà Vittorio è ormai avvezzo: Marco Giallini, che lascia al compagno l’abito del guascone e del furfante appena sopra le righe per indossare la veste del riserbo, della timidezza e della rigidità. L’accoppiata è strabiliante (l’avevamo già capito da Tutta colpa di Freud e soprattutto da Se Dio vuole) e soprattutto funziona da robusta ancora di salvezza per un film che, dopo una brillante premessa - lo scambio di modus vivendi - minaccia di annegare nell’agitato mare del melò oltre che fra le acque stagnanti di una comicità non abbastanza di situazione e troppo legata alla battuta, con Giallini che fa (benissimo) Giallini e Gassmann che fa (benissimo) Gassmann.
Non che il regista abbia abbandonato a se stessi i personaggi e la storia che racconta. No, in Beata ignoranza gli argomenti ci sono, e sono parecchi, perché si parla anche di istruzione, di famiglia, di responsabilità evitate e di "tempo di qualità", ma è come se nessuno spunto venisse sviluppato nella sua complessità. Non sequela indiavolata di gag né analisi delle pericolose conseguenze dell’uso smodato dei social (in particolare sulle giovani menti), il film funziona allora prevalentemente nel suo essere la rappresentazione di un’amicizia interrotta, recuperata a suon di dialoghi sì irresistibili ma troppo affidati all’estro dei due protagonisti, che suonano in perfetta armonia come un basso e una chitarra elettrica, passando però da un ottimo rock a una melodica e canzoncina: l’orecchiabile motivetto dei buoni sentimenti incarnati da una figlia alla ricerca di una - o meglio di due - figure paterne.
Cosa sarebbe stato Beata ignoranza se Filippo ed Ernesto fossero usciti un po’ di più da quegli appartamenti tutti uguali di tanto cinema italiano e se, non accompagnati dall’onnipresente musica allegra senza la quale i nostri produttori si sentono assalire dall’horror vacui, avessero continuato a giocare il gioco dello scambio di abitudini, ritrovando comunque la strada della comprensione reciproca, magari diventando Ernesto tutto smartphone e www.questo.quello e Filippo un avido consumatore di romanzi russi? Chissà!
Una cosa però rende originale e gradevole, secondo noi, il Bruno number five: il fatto che, con la scusa di essere oggetto di un documentario, i due protagonisti abbattano la quarta parete e si rivolgano al pubblico parlando in macchina. L’escamotage mescola felicemente i pani narrativi, aggiunge verve al film, ci fa pensare con nostalgia a C’eravamo tanto amati e a Dramma della gelosia e consente a Marco e Alessandro di utilizzare un doppio registro e di guardare comicamente all’avversario. Tuttavia, dal momento che in una vicenda squisitamente contemporanea si affaccia la commedia all’italiana di una volta, da quel mirabile esempio di cinema il regista avrebbe potuto prendere in prestito maggiore amarezza e cattiveria. (comingsoon.it)