Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, lunedì 5 settembre 2016 - Spesso nelle società camorristiche o comunque di malavita organizzata ci sono dei riti molto forti e indissolubili che vedono come protagonisti gli stessi delinquenti e il sangue dei loro futuri colleghi. E si conoscono anche delle formule che ne mettono la firma alla fine del rito, come questa: «Giura di rispettare le regole sociali; giura di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle; giura di esigere e transigere centesimo per centesimo e millesimo per millesimo; qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e a discarico della società.
Lo giuri?». La risposta: «Lo giuro». E subito dopo quello che giura beve un po’ di sangue del collega che è lì a fargli da padrino. Un vero e proprio patto di sangue.
Questa è solo una parte di un complesso rito che vede come protagonisti almeno due mafiosi, o per essere più precisi (ma non cambia molto…) due della ‘ndrangheta calabrese.
Questi riti vengono eseguiti soprattutto al santuario della Madonna di Polsi in località San Luca (Reggio Calabria), dove in occasione della festività che ricorda la Madonna, esponenti della ‘ndrangheta provenienti da tutto il mondo, fanno importanti accordi… commerciali.
Dal momento in cui il patto viene siglato, i famigliari dei nuovi affiliati è come se non esistessero più: in pochi secondi il proprio certificato dello stato di famiglia viene strappato. La nuova famiglia è quella alla quale si è giurato fedeltà assoluta.
E che fine fanno i quasi ex componenti del nucleo famigliare del capo famiglia che ha salutato tutti?? O si affiliano oppure sono morti (per ora anagraficamente, dopo…)
Dopo il patto di sangue avvenuto tra il richiedente e il già affiliato, nelle famiglie “normali” bisogna solo mettere ordine: tutti gli altri componenti sono tenuti al “segreto professionale”: si deve sempre e comunque difendere i malavitosi. E se qualcuno vuole uscire fuori dal seminato, viene disconosciuto da tutti: famigliari e non.
È quello che è successo anche Rita Atria di Partanna (Trapani) la quale esattamente il 4 settembre di 32 anni fa si suicidò, all’età di 17 anni; dopo aver saputo dell’assassinio del magistrato Paolo Borsellino, avvenuto due mesi prima.
Rita Atria, figlia del mafioso Vito aveva raccontato all’epoca procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, tutto quello che sapeva sull’attività criminale del padre. Quindi diventò fin dal 1991 testimone di giustizia.
Di conseguenza venne rinnegata dalla madre e dal resto dei familiari (e anche da tutto il paese!!) La madre non partecipò nemmeno ai funerali. Praticamente Rita Atria era una Senza Famiglia.
Dal 1991 Rita viveva sotto la protezione di Borsellino, la sua famiglia era il procuratore, i carabinieri e la polizia che la proteggevano 24 ore su 24.
Quel patto di sangue poc’anzi descritto fa capire l’importanza delle alleanze mafiose a discapito del patto di sangue “naturale” che c’è tra genitori e figli. Con quei patti di sangue tra delinquenti si mettono fine a patti di “sangue biologici”, che iniziano dal concepimento e proseguono nel cordone ombelicale fino al momento della nascita.
Poi può succedere di tutto, e ci si può ritrovare ad essere soli o quasi, con la protezione dello Stato. Perchè ad un certo punto la propria coscienza inizia a parlare dentro e fuori di noi.
Perchè la coscienza di qualcuno, come quella di Rita Atria, è andata al di là del processo biologico che lo legava al padre, e ha cercato un patto sociale e di giustizia, denunciando tutto quello che il padre aveva commesso.
Famiglia e sangue sono i due componenti di questa storia: la madre di Rita non l’ha più riconosciuta come sua figlia. Come dire: il sangue che scorre dentro le vene di quella ragazza non è più come il mio, è sangue maledetto che non ha voluto più “sentire” la voce del sangue del padre che l’ha generata.
La famiglia di Rita l’ha disconosciuta, perché in una comunità arcaica come quella in cui vivono dei malavitosi, non c’è posto per una traditrice: il suo corpo (e il suo sangue) non può essere curato dagli altri componenti della famiglia.
Rita, come tanti altri testimoni di giustizia, si è trovata da un momento all’altro senza una famiglia e senza “un’identità genetica”. Una ragazza venuta dal nulla, senza nessuna creazione che abbia messo la parola iniziale alla sua vita. Una ragazza che ha vissuto per un anno prima di suicidarsi, nella famiglia che la giustizia italiana era riuscita a darle.
Una famiglia senza genitori, senza fratelli, senza amici. Solo lei e quei pochi uomini della Repubblica Italiana, che l’hanno protetta come hanno potuto. Poi tutto finì.
Sulla carta d’identità di Rita Atria forse qualcuno poteva leggere: senza famiglia, senza dimora, senza futuro. Ma con tanto coraggio e onore!!!
Ma questa carta di identità al comune di Partanna (Trapani), nessuno ha mai voluto rilasciare.
Mario Ciro Ciavarella