Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, martedì 9 agosto 2016 -  A volte non ci vuole nulla che un luogo o un personaggio venga definito per sempre “in un certo modo”. Essere la personificazione come portatore di fortuna o sfortuna, è solo questione di attimi. O di punti di vista.  È vietato anche semplicemente nominare quel luogo o quel personaggio per essere ormai al centro della tragedia. Quella parola in sé è “l’entrata in vigore” della sfortuna.

  Quindi, non nominare certi termini e certe situazioni per non trovarsi in un punto di non ritorno. E se ormai ci siete, a Colobraro in provincia di Matera, non vi resta che sentirvi dire più volte che ormai… è troppo tardi!!

 Se vi trovate in zona, provincia di Matera e dovete raggiungere Colobraro, non dite che volete andare in quel centro. Ma dovete dire che volete andare… a quel paese.

 Subito, chi vi ascolta vi ci manda!!! Dandovi immediatamente le indicazioni giuste per arrivarci. Se poi avete il GPS, usatelo, sperando che sul display di questo  strumento appaia il nome Colobraro.

 Sembra assurdo: ma nessuno vuol chiamare con il proprio nome il paese di Colobraro. Nemmeno pronunciare le iniziali!!! “Quel paese”. E tutti capiscono.

 È una strana storia. La sfortuna di Colobraro sembra che sia nata appena negli anni ’20 del secolo scorso. Quando il podestà del luogo disse, durante una seduta del consiglio comunale, che se non avesse detto la  verità, il lampadario lì appeso potesse cadere. E cadde!!

 Da quel momento molti si misero alla ricerca di altri fatti “inspiegabili” del posto, per confermare questa “non casualità” della caduta del  lampadario.

 E come spesso accade, gli altri indizi vennero trovati: in un lontano passato quel paese era pieno di streghe (masciare), monacicchi (folletti) e “affascini” (malocchi). Ma quale paese del sud non pieno di queste specialità??

 E allora tutti i paesi del sud sono sfortunati?? E sembra proprio di sì. Tutti i paesi del sud sono sfortunati. Altro che dare sempre la colpa all’Unità d’Italia!!! Il nostro malessere di essere meridionali è insito nella nostra pelle, nel nostro modo di vivere. Nella nostra storia e nelle nostre leggende.

 Anche il mio paese è pieno di leggende e di tradizioni che rimandano a  folletti (scazzamuredde), fattucchiere e malocchi (affascenatura). Evidentemente il sud non ha avuto il progresso che ci si aspettava per colpa delle nostre tradizioni: sono antiche e non vogliono andare via.

 Il nord, d’altro canto, non ha avuto un passato troppo “tradizionale”, ma si è mantenuto su “toni più elevati”, ha voluto dimenticare più in fretta la propria storia. Ha cercato nel domani un motivo di esistere.

 Le tradizioni del nord non sono di tipo ancestrale, ma sono più razionali, più pratiche. Non hanno il sapore del “tempo che passa”. Ma sanno di “ieri”, e non dell’”altro ieri” come le nostre.

 La sfortuna del sud è un aspetto antropologico ancora da studiare e sopratutto da capire. Non lo sappiamo nemmeno noi, del sud, perché siamo “sfortunati”.  

 Il nostro  modo di “vivere la sfortuna” è come quella sensazione che in Brasile chiamano “Saudade”, una specie di ricordo nostalgico, un bene assente. Accompagnato da un desiderio di possederlo. Quasi una dimensione mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro. Siamo, noi del sud, dei brasiliani mancati!!

 Sembra di far parte e di vivere tutti nel “Ciclo dei vinti” di Verghiana memoria. Dove si attende, si attende,  e si attende che qualcuno venga a farci visita “a quel paese” che è anche il nostro. Dove ci viviamo tutti i giorni.

 (Nell’attesa, speriamo che non ci caschi qualche lampadario in testa…)

 

 

                                                Mario Ciro Ciavarella