Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, mercoledì 15 giugno 2016 - Ripropongo un articolo di un anno fa. Una storia triste ma verissima!! Sembra che il male non si annidi dentro le mura domestiche, ma al di fuori di esse: nel resto del mondo. Le mura della propria casa come difesa estrema ed indistruttibile per combattere i mali del mondo. Contro la cattiveria, il destino, il caso, contro divinità avverse alla felicità dell’uomo. Contro tutto ciò che non si può spiegare, l’ignoto. Anche contro la vita stessa, che a volte è contro sé stessa. Un’autodistruzione di massa che crea non pochi interrogativi sul perché a volte la vita si accanisca sulla Vita.
E a volte ti porta ad escluderti dalla vita sociale, come se viverla al di fuori dalla Vita, diventasse una necessità, utile per vivere meglio.
Strano… ma a volte è così.
È quello che è accaduto a Grosseto, per oltre 30 anni ad una famiglia che si è reclusa in casa, per difendersi dai non-sensi della Vita.
Alla morte del marito, la signora non volle più sapere cosa succedesse al Mondo. E anche i due figli ventenni all’epoca, non vollero più sapere notizie sul resto del mondo che non fosse il proprio: il loro appartamento.
Sono arrivati al punto (madre e figli) di rinchiudersi in casa ricoprendo le mura domestiche e gli infissi con carta assorbente e nastro adesivo.
Solo la madre usciva una volta al mese e solo per andare a ritirare la pensione, e poi… tutti dentro. Il cibo veniva ordinato ad un negozio sotto casa e fatto recapitare in sede dal titolare del negozio stesso.
Amici e parenti che volessero andare a trovarli, venivano fermati dai tre componenti della famiglia, felicemente isolata dal mondo, sul pianerottolo. E lì finiva immediatamente qualsiasi tipo di conversazione.
Una casa somigliante ad un castello inespugnabile, senza nemmeno un ponte levatoio che desse la speranza di un contatto con il terreno esterno a questa dimora d’altri tempi, in momenti di apparente quiete.
Il tutto è stato scoperto un anno fa (ma solo adesso la stampa ne ha dato notizia) per motivi di salute di uno dei figli della signora, padrona della casa-isola.
Ma a distanza di un anno i componenti della famiglia, momentaneamente allontanati dal loro appartamento, già potrebbero ritornare tutti a continuare a vivere nella loro dorata-casa-prigione.
Dove evidentemente vivono bene. Se ci sono riusciti per oltre trent’anni…
Questa incredibile storia somiglia ad un film, “The Village” del 2004 (la foto di quest’articolo si riferisce al film). Dove una comunità si è reclusa dal resto del mondo, dopo che ognuno dei componenti aveva sofferto un’ingiustizia o comunque un fatto negativo della vita che loro non meritavano; compreso lutti.
Uno dei temi centrali del film è la “posizione schizoparanoide”. Il male è percepito come un qualcosa che viene sempre e comunque dall'esterno, fuori di sé, fuori dalla propria mente e volontà, al punto da credere che la salvezza o la sicurezza sia ottenibile con il semplice isolamento.
Più che un film di paura, è un film sulla paura. La paura che assedia buona parte del pianeta dopo i fatti dell’11 settembre e che ha fatto dell’America un Paese protetto fino all'autoreclusione. La paura che i governanti usano come strumento di potere e di controllo sulla vita degli altri.
Allo stesso modo i componenti della famiglia di Grosseto si sono reclusi per sfuggire alla pura indotta dagli altri, non solo dalla Vita.
“The Village” è anche un film sull’amore. L’amore in questo caso è l’antitesi della paura, il prendersi cura uno dell’altro, all’interno di questa comunità protagonista del film, consente di non farsi annientare ma di crescere, di superarsi anche attraverso prove dolorose.
Così come avvenne per oltre 30 anni anche alla famiglia di Grosseto: si sono amati tra di loro come se quei tre corpi fossero… una sola persona, niente da spartire con il resto del’umanità.
Un’autoriparazione del proprio corpo e della propria anima come se ad abitare il mondo ci fosse un solo uomo: niente da chiedere e da condividere con altri simili.
E spesso è così. Si vive insieme, e si vive da soli. Il resto dell’umanità può ben poco, quando il male entra dentro di noi. I dubbi, la sofferenza, le ingiustizie difficilmente si possono condividere con il prossimo.
Ma solo rinchiudendosi in casa oppure vivere in una comunità ristretta come quella dei protagonisti del film “The Village”, si possono vivere esperienze di vita che potrebbero portare un barlume di risposte sul perché dell’esistenza e del perché… siamo in tanti.
Mario Ciro Ciavarella