Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, sabato 11 giugno 2016 - Quando nel 1981 ci fu la vicenda dolorosissima di Alfredino Rampi, in Italia c’erano le tre reti televisive della Rai, Canale 5 che iniziava a trasmettere sull’intero territorio nazionale e una miriade di tv locali. E all’epoca nessuno pensò che il 10 giugno di quell’anno si dovesse “inaugurare” un nuovo format televisivo chiamato qualche anno dopo “La Tv del dolore”.
Negli ultimi anni i programmi che si interessano di “lacrime e fiori” sono anche troppi (La vita in diretta, Pomeriggio 5, Amore criminale, Un giorno in Pretura, Quarto grado…) ed è diventata una categoria a parte, dove si fa a gara per avere l’esclusiva di questa o quella tragedia.
E questo nuovo genere televisivo nacque per caso. Una pura casualità che vide come protagonista inconsapevole un bambino di 6 anni, Alfedino Rampi, di Vermicino, vicino Roma, che cadde in un pozzo artesiano il 10 giugno di 35 anni fa.
Un pozzo lungo una trentina di metri con un diametro 28 centimetri. Quel pozzo diventò la tomba di questo bambino: non si riuscì in nessun modo di tirarlo fuori. Ci provarono in tanti, soprattutto Angelo Licheri che vista la sua costituzione fisica molto minuta, rischiò la vita per tirare fuori da quel pozzo Alfredino, riuscendo anche a toccargli la mano.
La notizia subito rimbalzò da un telegiornale all’altro, raccontando l’agonia di questo povero bambino, che durò 60 ore. Sotto i riflettori e le telecamere della Rai che ripresero tutte le fasi dell’inutile salvataggio.
Un altro episodio che catalizzò l’attenzione del pubblico televisivo fu la visita sul posto del presidente Pertini. Insomma, si crearono, senza nessuna volontà, bisogna dirlo, i presupposti di questo nuovo genere televisivo.
“Grazie” a questo evento, più il terremoto in Irpinia dell’anno precedente, venne istituita la Protezione Civile che conosciamo oggi.
Negli ultimi anni sapere, informarsi e condividere il dolore altrui è diventato quasi uno sport. Grazie alla tv ma anche ad internet, che spesso anticipa fatti “poco rosa” accaduti anche pochi minuti prima.
E spesso si esagera nel raccontare storie non proprie allegre, nei minimi particolari, e si cerca anche di anticipare eventuali sentenze giudiziarie se in questi casi c’è anche un colpevole.
È quasi un gossip costruito, nel senso che a volte si ha la sensazione che vengano organizzate tragedie che devono essere raccontate. Si ha la strana sensazione che per fare dei servizi televisivi su questo genere, vengano assoldati dei finti killer per potersi collegare in diretta con la scena del crimine.
È un po’ esagerato come concetto, ma la sensazione è questa. Oppure che ai protagonisti di queste vicende vengano dati qualche incentivo per confidare su quell’omicidio degli indizi che poi a breve spariranno.
È come se ci fosse una regia occulta che ci ricama sopra, mettendo di qua e di là elementi che stonano con l’intera vicenda. Non era il caso del povero Alfredino Rampi, il quale ha vissuto tutta la realtà di quella disgrazia sulla propria pelle. Una vicenda autentica al 100% (purtroppo).
Nei casi “moderni” della tv del dolore di tanto in spuntano dei testimoni non della “prima ora”, ma dell’ultima: dopo molti mesi o anni si presentano davanti alle telecamere dicendo di sapere molto su quella scomparsa o su quell’omicidio. E lo fanno… a scoppio ritardato, perchè??
Sono delle comparse che poi non sanno come uscire fuori da quel contesto? Sarebbe un po’ troppo, però una spiegazione ci deve essere. Gente che giura di aver visto una persona scomparsa, a centinaia di chilometri di distanza dopo anche anni dalla scomparsa. E lo dice dopo molto tempo. Per uscire in tv??
Sinceramente troppe cose non vanno in casi del genere. È come se si volesse aggiungere dolore su dolore, dubbi su dubbi, sospetti su sospetti. Di casi autentici ce ne sono tanti, ma alcuni non convincono.
Nelle prime puntate di alcuni casi, la persona scomparsa o morta viene dipinta come un soggetto perfetto (senza macchia e senza peccato). Poi nelle successive puntate iniziano i primi dubbi sulla personalità dello scomparso/deceduto.
Andando avanti di questo passo di puntata in puntata si ha un quadro più preciso di tutta la situazione: aveva almeno due amanti, un figlio segreto, 50.000 euro in banca scomparsi pochi giorni prima e forse spacciava anche droga.
Ma perché non dirlo nella prima punta che quella persona scomparsa/defunta aveva tante ombre nella sua vita?? Ed è in quel ritardo di notizia che si costruisce la tv del dolore. Viene fatto in modo metodico, passo dopo passo, come dire: il dolore di questa vicenda se lo volete assaporare, ci dovete seguire fino alla decima puntata di questo programma.
E bisogna essere degli esperti per “torturare” i telespettatori che sono appassionati di queste vicende. Come quando gli scrittori di gialli non dicono quasi nulla del personaggio che sta per essere ucciso: viene detto qualcosa in più nella pagina successiva.
La tv del dolore se ci deve essere che sia una tv di informazione e non che debba speculare sulle disgrazie degli altri. Altrimenti si arriverà nel vero senso della parola, ad organizzare “disgrazie televisive” chiedendo ai telespettatori se quello che hanno visto sia vero o inventato.
Mario Ciro Ciavarella