Mario Ciro Ciavarella
San marco in Lamis, lunedì 18 aprile 2016 - “Questo”. Vivono solo il presente, senza ricordare il passato. E senza nemmeno immaginare lontanamente il futuro. Ogni volta che gli si chiede qualcosa che ha a che fare con la loro vita, rispondono spesso: “Questo”. “Qual è il tuo amico preferito? Questo”. “Qual è il posto più bello che hai visitato? Questo”. “Qual è il più bel bacio che ti hanno dato? Questo”. Vivono nel presente. Come unica unità di misura della loro vita. E vivono anche felici, nel loro mondo. Ma soffrono come tutti, quando il loro mondo viene “messo in discussione”. Quando vengono esclusi dal mondo che li circonda.
Vengono chiamati “I bambini delle fate”, sono i bambini autistici. Sono affetti da un disturbo neuro-psichiatrico, caratterizzato da una marcata diminuzione dell'integrazione socio-relazionale. E spesso il loro linguaggio è composto da pochissime parole.
Chissà come sarà vivere come questi bambini, se tutti noi cosiddetti “normali” vivessimo per qualche tempo solo… nel presente, senza avere il concetto di tempo passato e futuro.
Potremmo tutti vedere… le fate, come fanno questi bambini. Vivere in un mondo che esiste solo nei libri per l’infanzia, dove tutto è perfetto: i buoni vincono e i cattivi perdono.
Dimensioni spazio-temporali che vivono solo questi bimbi (ma che poi diventano anche adulti, fortunatamente). È difficile immaginare vivere in un mondo così, anche se ipotetico.
I bimbi autistici sono nati perchè il destino così ha voluto (se vogliamo entrare subito nella mitologia), ecco perché questi bimbi vengono definiti “delle fate”. Il nome “fata” deriva dall'altro nome latino delle Parche che è “Fatae”, ovvero coloro che presiedono al Fato (destino).
E molto probabilmente le fate vengono anche viste da questi bambini. Altrimenti non si spiega il perché sono diversi da noi e quindi speciali.
Quindi, sapendo ciò, è più facile immaginare un mondo di esseri umani… autistici, se il destino così ha voluto. Tutti che vivremmo il presente senza ricordare un passato anche se c’è stato.
Nascendo tutti autistici non avremmo… conti da regolare con il prossimo, niente rancore, niente vendette. Ma solo il piacere di vivere il momento: quello che mangio adesso, quello che vedo adesso, quello amo adesso.
Una felicità infinita senza fare paragoni con quello che ho amato o mangiato in passato. Senza fare progetti per il futuro che quasi sempre non si avverano. Ma solo quello che penso e faccio ora.
E allora, ci alziamo la mattina e già godiamo i raggi di quel sole (se c’è) o l’ombra delle nuvole (se ci sono). Colazione, lavoro o studio, si ritorna a casa.
Tutto fatto in quel momento, non avremmo più il ricordo di quello che è stato. Si vivrebbe così per sempre, senza progettare guerre o cattiverie, poiché non avremmo il senso del futuro. Ma solo vita su vita, secondo dopo secondo, istanti che spingono altri istanti per avere vita anche loro.
Giocheremmo a calcio senza avere… una classifica. Poiché la partite già disputate non sarebbero nei nostri ricordi, ma si giocherebbe solo per il gusto di farlo, senza fare calcoli: conviene o meno pareggiare quell’incontro?
Ci sposeremmo senza sapere se domani ci saranno dei problemi, poiché il nostro mondo non prevede problemi… futuri. I problemi non esistono per gli autistici, poichè i problemi li fa nascere il tempo. Ma il concetto di tempo per gli autistici non esiste, quindi ci ameremmo per sempre.
E vedremmo le fate. Quelle vere che hanno deciso così: destinati a vivere per la vita e non per vivere per il dopo. Il dopo è un concetto di noi “normali”.
Infatti viviamo sempre per quello che faremo domani… e non sempre lo facciamo.
Mario Ciro Ciavarella