Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis - domenica 14 ottobre 2018 - Non si riusciva facilmente a spingere e far rotolare un pallone che era stato creato da mani piccole ma forti. Le cuciture tenevano insieme esagoni imperfetti, che davano un senso di molta precarietà a quella forma che ricordava a volte un’anguria. Eppure era un pallone da calcio. Il grasso che cercava di dare un tono e una forma stabile al tutto, colava, e veniva tolto involontariamente dalle mani dei giovani calciatori, ogni volta che lo prendevano in mano per una rimessa laterale.
Le traiettorie erano improvvisate: non c’era verso di dare una direzione retta, ogni volta che un calcio veniva dato al pallone di una volta. La vista di un pallone da calcio (o qualcosa che gli somigliasse), attirava intere generazioni, come se fossero Terre Promesse da raggiungere a tutti i costi.
Colpire di testa, quei palloni, nemmeno a pensarlo. Si aspettava che venissero presi con le mani dal portiere oppure che toccassero il terreno di gioco per poi colpirli e indirizzarli verso la porta avversaria o passarli ai compagni di squadra.
Questo era lo scenario che nel 1953, ma anche prima, si poteva ammirare durante gli incontri di calcio nel nostro campo sportivo, quando giocava la prima squadra locale di calcio, la Polisportiva Sammarco, nata ufficialmente in quell’anno.
La prima sede si trovava in Corso Matteotti, un locale del Presidente della Polisportiva, Ettore Ciavarella. Personalmente ricordo quella sita in via Togliatti, negli anni ’70, quando sul posto c’erano anche due campi da bocce e un campo da tennis. Il campo sportivo era sempre quello, denominato “Tonino Parisi”, inaugurato nel 1947. Quando si pagavano poche lire per poter entrare. E se proprio non si poteva pagare, bastava fare il giro dall’Addolorata per raggiungere Monte di Mezzo, una “tribuna” molto popolare da dove la vista era ottima e abbondante!!
Quando parlo nei miei articoli della San Marco di tanti anni fa, lo faccio sempre dal mio punto di vista: quello della mia infanzia e gioventù (anni ’70 e ’80), e ricordo benissimo gli incontri di calcio della Polisportiva. Il tutto iniziava… dagli spogliatoi. Quelli situati in fondo a destra, da chi guardava il campo da calcio. Se consideriamo la vecchia ubicazione del campo sportivo, ruotato di 180 gradi rispetto a quello attuale.
Si usciva da uno spogliatoio in miniatura: pochi metri quadrati per le due squadre e in mezzo c’erano altrettanti pochissimi metri quadrati per il signor Arbitro. Anche se in alto, sulla porta d’ingresso, per molti anni c’è stata la scritta “Albitro”. Poco importa: il calcio, sopratutto quello locale, ammette tutte le ignoranze del mondo, l’importante era giocare e divertirsi. Con quel poco che avevamo a disposizione.
I muri esterni degli spogliatoi erano color “giallo paglierino” che non stonava con l’habitat naturale nei paraggi. Ed era lì che si preparavano le partite di calcio. Noi giovanissimi tifosi della Polisportiva, eravamo lì fuori a pochi metri e sentivamo le urla dell’allenatore della squadra che dava le indicazioni giuste ai suoi calciatori. Lo stesso faceva l’allenatore dell’altra squadra. E pensavamo: “L’allenatore che urla di più, vincerà!!” E a volte era così.
La divisa della Polisportiva era quasi sempre di colore granata, anche se a volte, per motivi commerciali poteva cambiare colore. Quando la si vedeva scendere in campo, quella divisa era lo start per cominciare a tifare. E a spingere i calciatori a tirare calci ad un pallone che trovava tanto attrito su un campo fatto di “vreccidd”, che nemmeno un vento a favore aiutava più di tanto.
Si aspettava con ansia soprattutto l’incontro contro il San Giovanni Rotondo. Bisogna dirlo: era spesso più forte della squadra sammarchese, ma bisognava impegnarsi non poco per battere la Polisportiva. Capitava spesso che alcuni sammarchesi giocassero nella squadra di San Giovanni, e alcuni sangiovannesi giocassero in quella sammarchese. Non ho mai capito quello strano modo di fare: non potevano ognuno tenersi i propri calciatori???
Si giocava per pochissimi soldi, quasi nulla; qualcosa in più forse prendevano i giocatori venivano dalla Provincia, ma nulla di che. Giocare negli anni ’70 o ’50, penso che le differenze fossero minime: il campo era sempre quello, solo il pallone era più “tecnologico” negli anni ’70. La fucina per alimentare la Polisportiva Sammarco era l’immancabile Torneo Cittadino, nel quale si mettevano in evidenza i giovani sammarchesi che venivano selezionati dal professore Michele Bonfitto.
Oppure si andava a cercare dei potenziali “campioncini” tra i ragazzini che si diplomavano alla Scuola Media: il sottoscritto venne scelto per la “Giovanissima” del 1979, ma poi (forse) dimenticai di presentarmi (sinceramente non ricordo perché non andai). Il campo sportivo era il punto di riferimento per tutti i ragazzini del posto: vestire la maglia del Sammarco equivaleva per un professionista ad indossare quella della Nazionale.
La selezione era dura per il semplice motivo che in quegli anni San Marco era piena di giovani: nel 1978 per il Torneo Cittadino parteciparono 16 squadre divise in 4 gironi. Forse è stato il torneo con più squadre che si presentarono. Sedici squadre, in ogni squadra c’erano almeno 15 calciatori, per un totale di 240 ragazzi sammarchesi che parteciparono a quella edizione.
Adesso, dove li trovi 240 giovani del luogo per disputare un torneo di calcio?? Per dire, quanto era sentita l’esigenza di giocare a calcio e di far parte della Polisportiva Sammarco. Il livello di gioco di quel calcio degli anni ’70 e ’80 era senza dubbio molto superiore di quello attuale. Calciatori come Giggino Casale, Angelo Cera, Perilli, Paolino Schiena, Giggino Pignatelli, Emanuele D’Amore, Michele Mimmo ed altri, sinceramente non ne vedo molti in giro.
Ecco come la quantità di gioventù in un paese può fare la differenza: più giovani ci sono, e più alto è il livello, e la scelta di calciatori che si ha a disposizione. Per fare un esempio: la Prima Categoria di adesso rispetto a quella di 30 anni fa, non può assolutamente competere, due realtà completamente diverse!!
Quello che mi impressionava molto, era la polvere, che si alzava spesso sul campo di calcio di San Marco. O se preferite, “lu vreccidd” che quando non era molto duro, sembrava evaporasse. E si faticava non poco giocando su quel terreno. Ecco perchè ho intitolato l’articolo in quel modo, mettendo prima di tutto i termini “calci” e “polvere”: due “entità” che stavano sempre insieme. I campi in erbetta, dalle nostre parti erano delle rarità. Quando ci si presentava su un campo di calcio come il nostro, ci si doveva fare il segno della croce che tutto andasse bene.
Ho visto come tifoso la promozione della Polisportiva Sammarco dalla “Prima Categoria” alla categoria “Promozione” nell’anno 1983. È stato un momento storico per il nostro paese, una delle poche volte che siamo riusciti ad andare oltre la Prima Categoria. Ricordo che raccogliemmo dei soldi per comprare delle bandiere granata da sventolare il giorno delle promozione. Anche sulla “tribuna” di Monte di Mezzo sventolavano bandiere con i colori sociali della Polisportiva.
E con questa promozione nel campionato superiore terminano i miei ricordi della squadra di calcio del nostro paese. Da oggi si ricomincia a sperare, non solo in senso sportivo, ma soprattutto sociale. Abbiamo l’obbligo morale di tenere alto il nome della nostra San Marco, che sta attraversando un difficilissimo periodo storico e soprattutto economico, e che non riguarda solo noi, ma possiamo dire tutto il Mondo.
C’è una crisi economica senza precedenti negli ultimi decenni, e spetta a noi non cedere. In tutti i sensi. Auguri ai prossimi calci dei calciatori della Polisportiva Sammarco che tireranno. Non più nella polvere, ma su un altro terreno di gioco!! Erba di casa nostra…
Soundtrack: “La leva calcistica della classe ‘68” - Francesco De Gregori
Film recommended: “Fuga per la vittoria” di John Huston
Book recommended: “Essere e gioco” di Giancristiano Desiderio
Mario Ciro Ciavarella Aurelio