Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, mercoledì 19 agosto 2020 -  Emanuele, il barista, un’altra colonna della storia commerciale e sociale del paese non c’è più. È scomparso nel primo pomeriggio di oggi presso l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza in San Giovanni Rotondo, dove era ricoverato da alcuni giorni, per via della sua malattia e degli acciacchi dell’età. I funerali avranno luogo domani, alle ore 15,30,  nella chiesa matrice dell’Assunta, per essere poi tumulato nel cimitero del paese.

  Fino al definitivo rientro in paese, avvenuto nel 1977, quella di Manuéle (così lo chiamavano tutti), classe 1937, pensionato di Rignano Garganico, fu una vita di continua emigrazione, tranne le poche vacanze e gli avvenimenti importanti, come il matrimonio e qualche lutto, che lo segna per sempre, come la morte in giovane età del fratello Luigi. Ecco la sua storia. Terz’ultimo di una famiglia numerosa, dopo la licenza elementare, lavora dapprima come garzone presso una masseria e poi come libero bracciante agricolo per conto di chi lo chiama. Nell’Aprile del 1951, tramite amici comuni, ha l’occasione di essere assunto come “vaccaro” presso una grande stalla vicino a Margherita di Savoia. Resta per nove anni, cioè fino a quando non riceve la cartolina per il militare. Così parte da Foggia col treno alla volta di Roma e poi sempre con lo stesso mezzo raggiunge il C.A.R. di Arezzo. Dopo di che come soldato di Fanteria è avviato al Reggimento a Pistoia. Da dove viene trasferito, poi, al 78° Reggimento di  Livorno.

L’8 Dicembre 1961 è congedato, dopo 18 mesi di dura quanto inutile “naia”. Nell’Aprile dell’anno successivo parte  per la Germania, assieme ad altri. Il giorno dopo è a Stoccarda.  Ad attenderli c’è Benito Limosani, che non c’è più. Quest’ultimo,  li fa salire sulla macchina messa a disposizione dalla ditta e dopo una ventina di minuti raggiungono la baraccopoli di “Degherlò” (uno dei tanti sobborghi della metropoli). Tutte tre si sistemano nella baracca di Benito. Dopo qualche giorno di riposo prende servizio presso la segheria Gustav Elphe. Riesce a mandare a casa in media circa trentamila lire mensile, grazie al cambio favorevole. E questo senza farsi mancare niente in vitto e in divertimento , frequenta sale da ballo e quant’altro.  Si diverte un mondo soprattutto a ballare, sua riconosciuta  bravura e passione. Dopo il matrimonio la musica cambia ed egli  diventa più responsabile e serioso. Sente il peso della famiglia. Nei primi mesi del 1965, seguendo l’esempio di tanti connazionali acquista la sua prima macchina, una Fiat ‘600, naturalmente usata da otto anni.  Con essa, stracarica di tutto punto, raggiunge il paese per godersi le vacanze estive. 

Dopo sei anni, lascia la segheria e le baracche e va a fare il giardiniere a Schonaich, cittadina vicino a Boblingen. Qui rimane tre anni e usufruisce delle comodità di una vera e propria casa. Intanto, aveva cambiato auto. Aveva comprato una Fiat 850.  Dopo questa esperienza, si sposta a Esslingen, città che si sta sviluppando da tutte le parti. Qui  resiste per altri tre anni, lavorando nei cantieri edilizi e stradali. Qui guida un piccolo camion per il trasporto di materiale vario occorrente per la posa in opere di piastrelle,  mattoni, pietre, per l’abbellimento di piazze e scuole.  Intanto, nel 1967, con un rientro-lampo in Italia, sposa la sua Grazia, con la quale è fidanzato da qualche anno. Nove mesi dopo, diventa padre  del primo figlio maschio e tanti altri ancora negli anni che seguirono. L’anno prima era approdato a “Vernau” ed è qui che la sua condizione di lavoro cambia radicalmente in meglio. Finalmente anche lui diventa una “tuta blu”, essendo assunto, come operaio, nella grande fabbrica di elettrodomestici  “Iungen”, associata alla Bosch. E’ addetto ad una macchina saldatrice e guadagna bene.

I suoi risparmi, tolte le spese mie e quella della famiglia, crescono di parecchio. Tant’è che dopo 11 anni, smette e torna definitivamente in paese, con il pensiero di investire il suo piccolo capitale in qualche attività. Corre l’anno 1977, dopo 16 anni di emigrazione. Qui mette su una cantina, prelevando la licenza ed anche il mestiere  a MicheleCantenire”, che a sua volta lo aveva ereditato dalla madre. Si adatta subito. Gli avventori sono tanti, il guadagno discreto. Qualche volta c’è baldoria ed impara suo malgrado qualche bestemmia. Tira avanti fino al 1982 allorché acquista l’attuale Bar in Largo Palazzo, che prende il suo nome di battesimo “Manuele”, al posto di quello, dal quale lo avevo ereditato “Angeluzzo”. Nel 2002 lascia la titolarità a favore dei figli, essendo pensionato. Qualche volta, tuttavia, li va ad aiutare, perché il suo essere freme e vuole fare sempre qualcosa per il prossimo (vedi foto d’epoca). La direzione e redazione della presente testata giornalistica esprime alla famiglia la più stretta vicinanza!