Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, giovedì 24 ottobre 2019 - Nei successivi anni ’80, Ottavio fa carriera ed eletto, a seguito di una tornata amministrativa, diventa assessore in un importante Ente pubblico sovra comunale. Tra l’altro, esso è impegnato nel campo dello sviluppo e valorizzazione del territorio sul piano turistico. Lo fa attraverso la redazione di un vero e proprio Piano di sviluppo socio-economico, a cui collaborano i massimi esperti a livello regionale e nazionale. Piano che guiderà l’attività amministrativa negli anni a venire.
Al fine di accrescere gli arrivi sulle proprie spiagge, l’Ente in parola pensò bene di esporre le proprie bellezze ed eccellenze enogastronomiche, con propri stand, nelle diverse fiere più rilevanti promosse a livello europeo. E in questo, perché si era fermamente convinti di poter raggiungere migliori risultati con azioni dirette e spettacolari. Ci andarono con i propri amministratori ed altri degli Enti locali di periferici, con la propria gastronomia e perfino con un gruppo folk che illustrasse le proprie tradizioni canoro- musicali.
Scelsero Monaco di Baviera e vi arrivarono con un pullman. Misero il loro stand all’Olimpia platz , l’ex stadio olimpico. Il gruppo in parola aveva nel suo seno un professore di lingue, che sapeva parlare bene il tedesco e lo guidava a menadito in ogni luogo.Una sera all’Olimpia si promuoveva l’interscambio degli assaggi di piatti tipici di ogni singola nazione. Si approdò allo stand dei Turchi. Qui c’era un girarrosto gigante, dove si stava rosolando una bestia di cui si ignorava la sembianza effettiva. Poteva essere un coniglio. Non so un agnello o quant’altro. Arrivò il loro turno e ad ognuno si offrì un panino con un pezzo di carne ‘strappato’ con un affilato coltello dal corpo principale. Ci misero dentro anche come contorno un intruglio di cipolline arrostite, condite e pepate a dovere. Per bevanda fu servita una coppa gigante piena di birra. Gustarono tutti con appetito. Anzi, un boccone tira l’altro, un rutto dopo l’altro, erano accompagnati da soddisfatte esclamazioni del tipo “Oh, Ah e Uh!” come se fossero ad una festa della matricola.
Dopo aver mangiato e ben bevuto i protagonisti non vedevano più un tubo e si diressero ad un bar col pensiero di prendere un buon caffè all’italiana, quello tedesco era una sorta di brodaglia colorata che non aveva né odore, né sapore. Tentare, comunque, non nuoce! A questo punto, il professore di tedesco si fece avanti e disse: “Vi è piaciuto il piatto turco?”. Tutti in coro gridarono “Si…” Ma sapete che avete mangiato? – aggiunse con tono misterioso. Nessuno rispose, perché nessuno sapeva di quale animale si trattasse. “Ve lo dico io – continuò il professore con accenti sarcastici- “Quello era un maxi torcinello di gatto! “. Si bloccarono tutti, soffocati dal senso di nausea che li risaliva dal dentro. “Tra poco si arriverà ai conati di vomito”, sentenziò Vittorio, che era ritenuto la mente del gruppo, per i suoi immancabili colpi di fulmini. Per la sua sapienza calibrata reggeva l’impegnativa delega al bilancio.
Il tedescofilo, che si chiamava Nicola, intanto, cercava di spiegare com’erano fatti questi benedetti torcinelli. “Si tagliava la carne a strisce a strisce – spiegava - e poi dopo averle marinate e condite con aromi, le attorcigliavano ad una ad una attorno allo spiedo, sino alla sua massima consistenza”. Quindi, passava alla considerazione dell’animale, a cominciare dal suo allevamento che era protetto da ogni punto di vista, parimenti a quando accade per la mucca in India. Solo che lì era intoccabile, qui invece era considerata una leccornia alla portata di tutti. Per ingrassarli, si usavano due metodi: uno era quello allo stato stanziale, o meglio si teneva l’animale chiuso in una gabbia, nutrendolo con ogni ben di Dio e permettendo loro all’occorrenza di acchiappare qualche topo ogni qual volta ce ne fosse stato bisogno dentro e fuori casa.
Il più praticato ed economico, comunque, era l’allevamento allo stato brado. Venivano costituite delle vere e proprie mandrie di gatti ed un apposito mandriano, di solito un ragazzo minorenne, li teneva a bada presso gli stagni d’acqua o i canali di scolo, anche di acque reflue, di solito regno incontrastato di ratti piccoli o grandi, detti anche zoccole. Questi ultimi avevano le carni più saporite. “Con ogni probabilità quelle mangiate- diceva Nicola, – appartenevano al settore in menzione”.A questo punto, tutti coloro che avevano ascoltato la sua lunga ed articolata descrizione, si rivoltarono schifati e con rutti a destra e a sinistra cercavano di rimettere l’ingerito. Ma nessuno ci riuscì, perché erano sopraffatti dal ricordo della sua bontà.La guida, invece, che seguiva con il suo sguardo birichino e canzonatorio i suoi ascoltatori, troncò il tutto con una fragorosa ed ininterrotta risata: “Ih, Ih, ci siete cascati! Ah, ah , quella che avete mangiato era carne di puro vitello!” E tutti risero felici e contenti.
La sera successiva si tenne in fiera un’affollata serata da ballo. Tutti vi arrivarono in ghingheri, compreso Ottavio. Il Salone era immenso e stracolmo di gente. Era la festa del Carnevale locale. La maggior parte dei partecipanti era, infatti, vestita con abiti d’epoca e fornita della tradizionale maschera. Vi erano più di diecimila persone. Ad attirare l’attenzione del gruppo fu “Il ballo del qua qua”, grande successo di Romina Power, ma per l’occasione suonato e cantato da un gruppo musicale italiano.
Tutti si buttarono nella mischia del ballo, compreso Ottavio che, da bravo ballerino che era e si riteneva, abbordò subito un tipo vestito da monaca, ovviamente colla mascherina sugli occhi. Il primo giro andò bene. La ragazza dimostrò subito di starci, quando affrontò con lui un lento. Lei gli si strinse come una sanguisuga e di tanto in tanto lo sbaciucchiava, nascondendosi dietro il massiccio Cristo in metallo che aveva appeso sul petto. Si parlò in tutte le lingue, specie in latino. Infatti, dalle poche parole captate, Ottavio capì che la sua interlocutrice era una studentessa liceale, forse minorenne o appena maggiorenne. Di questo si preoccupò, perché se la polizia tedesca lo appurava, te ne faceva passare di cotte e di crude.
Carico di questi pensieri e nel contempo accalorato al massimo, fece coppia fissa per ore ed ore. Intanto, gli amici lo seguivano dai dintorni con curiosità ed un pizzico di sottesa invidia. Anzi, qualcuno si era addirittura azzardato a scattargli qualche foto compromettente. Episodio che lo affliggeva. Se lo avesse appurato la moglie che anche questa volta si trovava incinta sarebbero stati guai grossi. In sala lo tenevano compagnia solo due compagni del gruppo, impegnati anche loro in qualche conquista. Si trattava del sindaco e vice sindaco del comune tale dei tali. Questo lo consolò, perché non era solo nell’impresa “tradimento”. Erano circa le tre del mattino. I predetti compagni avevano da tempo abbandonato il ballo e le loro ballerine erano andate via da un pezzo.
Di tanto in tanto, ora l’uno, ora l’altro lo sollecitavano ad andare via. Ottavio, anzi la sua compagna, faceva orecchio di mercante e si continuava a ballare e a dialogare con mozziconi di una lingua di Babele. Ad un certo punto, a conclusione di un giro di ballo, si avvicinò ad Ottavio uno dei due che gli disse deciso : “Smettila, dobbiamo andare via, perché alle tre in punta c’è l’ultima circolare!.”. Dall'albergo, il luogo distava più di dieci chilometri. La donna, capì che cosa suggerivano al compagno e di contro disse al compagno“Non ti preoccupare, fuori ho la BMW!”. L’altro non capiva, perché la donna parlava veloce e a lui il termine suonava come uno incomprensibile “Bubù”. Alla fine, ella prese un lapis e scrisse su un bigliettino il nome dell’automezzo. Ma lui, preoccupato delle conseguenze che potevano derivare da l’eventuale rapporto amoroso, prese tempo e si fece scrivere il luogo di un eventuale appuntamento per la sera successiva: ore 19.00 in Marienplatz. Helga. Così si chiamava la studentessa. E si lasciarono.
Ottavio dormì sino alle 10.00. Quindi scese nella hall dell’albergo a 5 stelle per la normale colazione. Tutti gli amici lo circondarono ed ognuno chiedeva qualche precisione su questa sua incredibile avventura. “Vuoi vedere che quella ti incastra” – diceva uno. “Ora telefono a tua moglie”- aggiungeva un altro con cattiveria ed un altro ancora: “ora mando la foto ai tuoi”.
Peggio accadrà nelle ore pomeridiane, allorché videro Ottavio ben vestito e pronto al decollo, secondo il loro dire, per un appuntamento. E si ricominciò con lo sfottò, interrotto nella mattinata, a seguito degli impegni istituzionali del gruppo. Una autorevole rappresentanza di esso avrebbe dovuto incontrare, come dopo accadde realmente, una delegazione governativa del posto. L’uomo cercava di difendersi con ogni possibile trovata o meglio bugia. “Non è vero. Io voglio bene alla mia consorte e ai miei figli. Non mi sogno minimamente di mettermi con qualche altra, seppure straniera!”. Giurava persino sul Vangelo. Passò del tempo e l’ora dell’appuntamento si avvicinava sempre di più. Ma quelli non lo mollavano,
Ad un tratto egli ormai stanco di questa forzata prigionia, salutò tutti e si avviò decisamente verso Marienplatz, cuore del centro storico. Erano trascorse le 19,30, quando egli arrivò sul luogo. C’era un passeggio affollato, ma lei non c’era, Guardò negli angoli più disparati della piazza, ma di lei non c’era alcuna traccia. Evidentemente, Helga, non trovato all’ora esatta il suo nuovo amante italiano, se n’era andata, forse pochi minuti prima, anche lei con la morte nel cuore per un amore nato, ma non consumato. Lo stesso sentimento riproverà pure Ottavio, una volta lasciato il posto, ma non il ricordo di lei che campeggerà sempre nella sua memoria come: “la monaca di Monaco!”.
Un’altra scena tragico-comica capiterà qualche sera dopo nei paraggi, allorché la comitiva di Ottavio era decisa a visitare la cosiddetta birreria di Hitler. E questo non a torto. Infatti, fu proprio qui che nel 1921 Hitler tenne il suo primo discorso dove annunciava le sue idee al mondo intero. Nella sala principale, dove ora è normalmente piena di turisti ed è diventato un ritrovo mondano dei bavaresi, i nazisti si facevano conoscere al mondo tra birre e proclami. “É luogo da visitare assolutamente, perché qui la birra è ottima e il cibo davvero squisito- disse scherzosamente Nicola, l’immancabile guida del gruppo. “Se dobbiamo mangiare – aggiunse - non dobbiamo fermarci sotto dove è riservato ai turisti, ma andate di sopra dove i bavaresi si ritrovano sempre. In caso contrario, facciamo i turisti e basta”. Era una questione di pura conoscenza storica ed apolitica, dissero a se stessi.
Tuttavia,Vittorio, la mente del gruppo non ne era del tutto convinto e pertanto , da comunista qual’era all’antica, manifestava di tanto in tanto il suo totale dissenso a simile visita. Sarebbe stato come un riconoscimento indiretto nei confronti di chi si era macchiato di tremendi eccidi. Riprendeva subito Nicola, professore, pure lui comunista. “Ma dai, è sola la soddisfazione di una conoscenza teorica ed è lontano mille miglia dai nostri pensieri il seppure minimo coinvolgimento”. Così dicendo, si riprendeva l’avvicinamento alla sede. A pochi passi, il ‘forzato’ metteva puntualmente la marcia indietro. Non se la sentiva proprio di oltrepassare la soglia maledetta dello stabile intitolato al suo acerrimo nemico politico, esclamando schifato: “No, non ce la faccio proprio. Andateci voi e lasciatemi in pace!” – concludeva con l’amaro in bocca.
Fin quando, stanchi i suoi amici per questo inconcludente su e giù decisero anche loro di lasciare l’obiettivo, soprattutto per non dispiacere a Vittorio che aveva dimostrato sempre di essere una persona seria e un capace amministratore di conti pubblici. E poi a quei tempi l’affetto e il rispetto erano sentimenti – valori coltivati anche tra i politici. La vita della famiglia, intanto, continuava a svolgersi tra paese e città. Qui, Ottavio, oltre al lavoro, continuava ad intrecciare amicizie e collegamenti sociali e politici di alto profilo. Dopo la sua iscrizione all’ordine professionale, egli diventò direttore responsabile di un periodico locale che sarà punto di riferimento di rampanti politici e di aspiranti giornalisti di tutta la provincia.
Il locale funzionava pure da segreteria di un noto uomo politico ed istituzionale del barese. Si trattavano tutti da veri e propri compagni in senso lato con una confidenza pressoché fraterna. Tra essi c’era anche un direttore di carcere. Quando arrivava lui, se ne avvertiva la presenza in modo oltremodo chiaro: un rumore marcato di scarpe ferrate e di tintinnii di mazzo di chiavi . Di questo il dirigente amava vantarsi assai. “Che vuoi - diceva scherzosamente agli ospiti – il lupo perde il pelo, ma non i vizi, quando vedo un ufficio come il vostro, mi sembra di stare nel mio ambiente di lavoro, tra rumori di ferri e di serrature di porte e cancelli!”.
E i presenti accoglievano il suo dire e fare con fragorose e divertite risate. Era un uomo molto semplice e pratico, non amava mai mettersi in vista o sbandierare la sua alta carica di dirigente dello Stato, così come fanno tanti altri ed alti papaveri. Era un tipo piuttosto umile, anche quando era tenuto a presenziare in veste di autorità. Durante un in contro istituzionale, dove gli attori erano le massime cariche civili, religiose e militari, egli che era seduto accanto al Vescovo, ad un certo momento, scocciato per i discorsoni e i salamelecchi che si tenevano nel salone addobbato di stendardi e bandiere, si alzò di scatto e si spostò nell’attiguo corridoio, dove come se niente fosse si mise a passeggiare assieme agli altri, intrattenendosi con Ottavio, di cui era stretto amico, a parlare del più e del meno delle vicende quotidiane.
Era un personaggio assai simpatico che si faceva volere bene anche dai suoi assistiti ossia i detenuti, ligio com’era sempre ai doveri, ma non dimentico mai della sua ed altrui umanità.