Antonio Del Vecchio
Gargano, domenica 2 giugno 2019 - Un tempo marinare la scuola alle Superiori o all’ultima classe delle medie era uno ‘sport’ bello e praticato da tutti, sia a San Marco in Lamis, sia a San Giovanni Rotondo. Qui si concentravano in massima parte gli studenti del distretto, a cui erano partecipi anche quelli di Rignano Garganico. Oggi non più. Forse perché farlo non è più una piacevole trasgressione, ma un evento estremamente noioso ed insignificante.
E questo per via del consumismo e soprattutto del permissivismo, imperante sia tra i presidi e gli insegnanti, sia tra i genitori. Nei tempi passati, quando la scuola era scuola e la selezione era ferrea, i motivi che inducevano alla ‘marinata’ erano costituiti da : l’impreparazione di una lezione; l’insegnante troppo esigente e talvolta sadico; la voglia di avventura fine a sé stessa e perché no le prime fiammate d’amore che ti spingevano ad esaudire un determinato appuntamento in disparte. Frequentarsi in coppia era assolutamente proibito. Ogni marinata, indipendentemente dalla motivazione, veniva studiata appuntino, non tanto per eludere gli “spioni”ossia i bidelli mandati appositamente dai presidi nei luoghi di possibile raduno dei ‘renitenti’ (simile ai militari), quanto il controllo dei genitori, puntualmente esercitato dalle mamme, essendo impegnati i mariti a lavoro. Le stesse si avvalevano di confidenti segreti residenti nelle città scolastiche, coincidenti quasi sempre con altri genitori o amici degli amici.
Nel caso di San Marco, il luogo di nascondiglio preferito era la Villa Comunale, dove in caso di spiata era assai facile nascondersi, dietro qualche siepe od albero secolare. Una volta, venne a cercarci lo stesso preside del Liceo Classico, Luigi Di Maggio, che ci convinse, come sapeva fare bene lui, con argomenti concreti, a rientrare a scuola. Quest’ultimo, quando mancava l’insegnante incaricato, era lui a tenerci la lezione di Matematica. Grazie al suo metodo pratico e all’affabulazione, si faceva capire da tutti, anche dall’ultimo della classe. Tant’è che in IV ginnasio, per via della sua lunga opera di sostituzione, la sufficienza nella citata materia fu conquistata da tutti. Il Di Maggio, ricordo, era un attivo politico ed amministratore socialista, come lo fu a quel tempo in campo PCI, Matteo Merla, docente di Storia dell’Arte alle classi liceali. Di entrambi conservo ricordi graditi di condivisione e stima. Nella Villa, seduti sulle panchine, si bivaccava assieme ad altri compagni d’avventura fino alle 13,30, ora d’uscita ultima della scuola. La “fuga” dagli istituti diventava più interessante ed appetita, quando la si faceva in compagnia dell’amata, da soli o con altre coppie.
Allora, in assenza di patenti e di auto a buon mercato, ci si riversava nelle campagne vicine e ci si appartava in luoghi adatti, lontani da ogni indiscreti. E qui si faceva “petting”, così si diceva allora all’inglese. Una volta capitò a due coppie amiche di fare la marinata. Tra questi c’ero anch’io con Maddalena, la ragazza del momento. Aveva 16 anni e frequentava le scuole di Avviamento. Aveva i capelli biondastri, occhi languidi che si stagliavano su un viso bianco e pulito dai lineamenti molto fini. Petto già sviluppato e gambe sode e dritte. Assieme a Pietro, e a Serena , miei compagni di avventura, ci inerpicammo attraverso le strade longitudinali del centro storico e salimmo su fino alla Strada Provinciale per Sannicandro Garganico. La superammo ed imboccammo il dirimpettaio vallone. A metà strada, quando la vegetazione di arbusti e rovi era più fitta ci fermammo, disponendoci opportunamente: i miei amici una decina di metri più su, visivamente separati da una curva; io e la mia partner a pochi metri dall’ingresso, tant’è che udivamo distintamente i rumori delle auto che sfrecciavano di sotto e la voce dei passanti e dei bambini che giocavano a La Crucicchia.
La Maddalena, si sistemò sul versante opposto del canale, utilizzando come sedile il pacco dei libri scolastici, racchiusi, come era uso del tempo, in una fascia elastica resistente. Fagotto, quest’ultimo, che ella si portava dietro con molta grazia e vanto, per via della sua conquistata condizione di studentessa, rispetto alla maggior parte delle sue compagne, rimaste sartine per tutta la vita. Infatti, l’acquisito diploma le servirà successivamente per diventare operatrice sanitaria. Lo fece anche per ripararsi dalle goccioline della rugiada che copriva il verde circostante. Mi ci accoccolai di fronte, per ammirare il panorama sottostante (si vedeva l’intera San Marco!) e nel contempo per proteggermi anch’io dall’umidità. Così cominciammo subito a fare petting e forse qualcosa in più. Ad un certo punto lei si mise a gemere e a piangere lacrime vere. Mi bloccai e preoccupato che si sentisse male, dissi: “Perché piangi? Se vuoi, smetto, non voglio assolutamente farti soffrire!”. Di contro Lei: “no, no, non è niente!” E mi si strinse forte forte!”. Continuammo così per una buona mezzoretta. Intanto, i suoi gridolini avevano destato l’attenzione di un malandrino, che si aggirava nei pressi, non so per quale scopo. Forse veniva dal branco di pecore che pascolavano più su o perché impegnato nella raccolta delle verdure selvatiche.
Comunque sia, il giovinastro si avvicinò a noi e con fare minaccioso mi chiese di allontanarmi, perché, a suo dire, bastava lui a sostituirmi, con grande spavento della ragazzina, che si mise subito a tremare e ad urlare. In contemporanea le facevo coro anch’io, ripetendo a voce alta (a posta) e minacciando: “Che vuoi? Vai via, mascalzone, altrimenti ti denuncio ai Carabinieri!”. Le nostre grida attirarono l’attenzione dell’altra coppia sistemata più su, il cui uomo si precipitò a valle e costrinse a forza, dato che era piuttosto robusto (non a caso era chiamato Vincenzone), l’arrogante pretendente ad abbandonare immediatamente luogo e preda. Il comportamento di Maddalena si ripeté negli incontri successivi, in luoghi aperti o chiusi, sino a quando non ci feci più caso. Non del tutto, però. In fondo all’animo di tanto in tanto mi ritornava l’amletico dubbio: era il suo modo di manifestarsi o soffriva per davvero di contro alle mie moine? In entrambi i casi rispettai siffatto modo, sino a quando arrivò la rottura definitiva. Per lungo tempo i suoi gemiti mi accompagneranno nei ricordi, come pure il dubbio, mai sopitosi, nonostante altre avventure di maggiore intensità e completezza.
Nessuna ha mai pianto con o per me, così come ha fatto lei! È un “ni” che mi assale ancor’oggi: gemeva e piangeva di piacere o di sofferenza? Chissà! Altre volte, per spostarci si faceva ricorso al pullman, per raggiungere Borgo Celano e da qui a piedi la difesa di San Matteo, non distante dall’omonimo Convento. Qualche difficoltà ci si presentava al ritorno, allorché per trovarsi in tempo all’orario di uscita, ci si precipitava a raggiungere di corsa la sottostante città. Una volta fu mio cugino ad accompagnarla a San Marcuccio, e da qui fino al luogo dell’appuntamento in aperta campagna dove stavo ad aspettarla. Tali accorgimenti servivano a tacitare le cattive lingue dei pettegoli di turno, sempre pronti ad intravedere la pagliuzza nell’occhio del prossimo. Non appena arrivato, l’accompagnatore lasciò la ragazza nelle mie mani. Per dargli il pretesto di allontanarsi, gli dissi: vacci a comprare panini e mortadella e vieni subito (per modo di dire). E il cugino volò via. Ritornò tre quarti d’ora dopo con la colazione pronta. Le effusioni era terminate. Ci mettemmo tutti e tre a divorare letteralmente i panini (l’appetito era forte per l’aria e l’età). Dopo i primi bocconi il mio servizievole parente si lasciò scappare: “ Uh, che strano sapore. Non riesco a capire di che cosa!”. Questi avventori moderni , quando servono gli alimenti, non si lavano mai le mani! Concluse, sfiduciato, continuando a sbocconcellare il panino, ormai ridotto all’osso. Risalii col pensiero! Avendo personalmente scartato pacco e panini e servito ad uno ad uno gli alimenti, forse erano le mie mani.
Ma non dissi nulla. L’incognita più difficile da superare si presentava la mattina successiva, quando occorreva compilare la pagina di giustificazione estrapolata dal libretto delle assenze. Di solito i più incalliti di noi ne tenevano due, uno ufficiale e l’altro con la firma copiata del genitore. Erano dolori, quando il preside si accorgeva del nostro imbroglio. Ci si intimava seduta stante di essere accompagnati dal famigliare per il rientro in classe. Ciononostante, qualcuno insisteva nel bluff. Per cui, anziché farsi accompagnare dal genitore vero, si ricorreva al sostituto. Spesso era un adulto preso dalla strada, qualche volta un amico che si conosceva bene e che capiva i giovani. Uno di questi si chiamava Giovanni. Egli si prestava volentieri a fare le veci del padre o del fratello maggiore di tutti gli scansafatiche come noi. Giovanni, però era molto intelligente e sapeva recitare bene la sua parte. Mai si avventurava ad esercitare il proprio ruolo nella medesima scuola o città. Talvolta faceva la spola anche con la vicina San Giovanni Rotondo. Giovanni era un uomo molto benvoluto da noi studenti, perché egli non solo era sempre disponibile, ma sapeva sempre ben consigliarci, specie in materia di donne. Ora egli non c’è più da diversi anni, ucciso quando era ancora giovane dal male oscuro e pianto dall’intera comunità, di cui era un patito animatore!